LUDOPATIE
«Non lasciate la vita alle slot»
Franco Arlati trasmette ai Comuni la sua testimonianza: «Io, ex giocatore, vi scrivo»
«Chi vi scrive è un ex giocatore, mi chiamo Franco e ho 63 anni». Comincia così la lettera che Franco Arlati sta inviando a tutti i comuni della provincia affinché possano utilizzarla, come spunto per organizzare incontri pubblici e lezioni nelle scuole, al fine di prevenire le ludopatie. «Tutta la mia vita è stata vissuta nella dipendenza del gioco d’azzardo, piaga sociale che distrugge se stessi e intere famiglie» prosegue la testimonianza di Franco che è uscito dal tunnel e da anni collabora con l’associazione giocatori anonimi. Come opera l’associazione? «È riconosciuta a livello nazionale e a livello locale ha una sede a Varese, nel convento dei frati cappuccini, in viale Borri, dove riceviamo il lunedì dalle 21 alle 22.30 e da circa un anno e mezzo anche a Lavena Ponte Tresa, in municipio, il venerdì dalle 21 alle 22.30. Viene ovviamente garantito l’assoluto anonimato di chi cerca aiuto e viene proposto, anche attraverso incontri di gruppo, un percorso in dodici tappe per dire definitivamente basta col gioco d’azzardo». Il supporto è gratuito, l’associazione si affianca alle strutture sanitarie che curano le ludopatie. Anonimi appunto i giocatori così come gli ex giocatori che oggi s’impegnano per sconfiggere la febbre patologica da slot e macchinette varie. L’eccezione a questa regola di riservatezza è nel racconto, personale e dettagliato, del dramma - a lieto fine - vissuto dal 63enne di Ternate. Lo rende noto, scrivendolo ai comuni appunto, con l’obiettivo di dare speranza, aiuto e consapevolezza di potercela fare. «Con le nuove tecnologie - prosegue Franco che ha sperimentato sia i casinò, sia le slot - l’approccio al gioco è diventato estremamente facile. Ed è preoccupante vedere quanti giovanissimi (già dalle scuole dell’obbligo) siano diventati vittime di questa patologia che se non trattata porta nel tempo ad una vita infelice». «Sposato con due figlie, una famiglia normale come tante altre, che casualmente un giorno è entrato in una sala gioco e come spesso accade ci sono state le prime vincite, vincite che hanno dato l’illusione di poter migliorare la situazione economica: ma è stato invece l’inizio della fine» racconta di se stesso Arlati. «Da allora - scrive nella lettera autobriografica - non ho mai cessato di giocare, il gioco era diventato per me la ragione della mia vita, lo amavo pur sapendo che mi stava facendo del male, tralasciavo i miei doveri di padre e di marito. Non esisteva altro che il gioco d’azzardo. I guadagni del mio lavoro andavano a finire lì e non bastavano mai, tanto che per procurarmi denaro non esitavo a compiere azioni meschine e disoneste». Ha toccato così il punto più basso, perdendo la moglie «e tutte le compagne che ho avuto in seguito». E dopo la discesa a precipizio, la risalita. «Quattro anni fa è iniziato il mio percorso di recupero (con l’associazione giocatori anonimi, Ndr), non ho mai più giocato, il gioco per me è diventato un lontano ricordo» e infatti «ho riacquistato la mia vita e la vivo serenamente». Franco precisa che il suo e soprattutto il supporto dell’associazione vanno ad affiancarsi, «non prevalicare, né a sostituirsi», al lavoro svolto dai servizi sociali e dalle strutture sanitarie. Uscire dal giogo (del gioco), guarire dalla patologia dell’azzardo si può. «Con la mia lettera voglio essere d’aiuto e collaborare con i Comuni per fare campagna di prevenzione». Una scommessa - questa sì - da affrontare. E vincere. «Come ho fatto io e come possono fare tutti coloro che vogliono riprendersi la vita».
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