L’ANALISI
Non lavora più nessuno: allarme anche nel Varesotto
Focus di Prealpina: i mestieri “del fare” restano senza addetti
Nella nostra provincia si cercano 630 persone da impiegare in bar e ristoranti. Emerge dagli ultimi dati a livello provinciale dell’indagine Excelsior condotta dalle Camere di Commercio insieme al Ministero del Lavoro per rilevare i fabbisogni professionali delle imprese. Al secondo posto, per quanto riguarda le ricerche di lavoratori del mese di novembre, ci sono gli addetti alle vendite (ne mancano 560). Al terzo: personale non qualificato da impiegare nei servizi di pulizia (370). Si cercano anche conducenti di veicoli (ben 220), addetti alla segreteria (190), personale tecnico di diverso tipo (180 solo nel settore della salute). Servono operai specializzati (170 solo per le rifiniture delle costruzioni). C’è richiesta di meccanici, montatori, riparatori, manutentori (140 in totale). Tra le professioni, una delle più ricercate è quella dell’ingegnere (60 le ricerche aperte). Serve anche personale per l’industria tessile e si cercano specialisti di rete e database.
PESA LA DENATALITA’
A leggere i dati si direbbe che le occasioni di lavoro in provincia non manchino. Del resto, sul nostro territorio la densità imprenditoriale è elevata: parliamo di 48 imprese per chilometro quadrato, contro le 38 di Milano e le 17 in Italia. Le industrie a Varese producono il 29 per cento della ricchezza. Poi ci sono due settori che hanno un peso considerevole: il commercio (24 per cento) e i servizi che contribuiscono al 44 per cento. Come mai si fa tanta fatica a reclutare i lavoratori? Un fattore va ricercato nella denatalità. Ogni 100 ragazzini che hanno meno di 18 anni ci sono 180 anziani. Questo, demograficamente, si traduce in una constatazione: quando un’azienda cerca un giovane lavoratore da formare, tanto più in un ambito specifico, non ha tanta scelta.
LO SMART WORKING
In tale contesto di carenza di risorse umane, sempre più spesso sono i lavoratori a voler dettare le condizioni. Dopo il Covid, ad esempio, molti hanno sperimentato smart working, bonus, incentivi, reddito di cittadinanza, e non è facile tornare in presenza. Da qui la tendenza a scartare gli impieghi che richiedono di essere fisicamente sul posto di lavoro tutti i giorni. Poi c’è l’appeal che hanno le nuove professioni del web, come ad esempio social media manager, che si possono fare ovunque.
MURO CENTRALE
I mestieri sono le professioni “del fare” e richiedono per forza di cosa presenza fisica, quindi un maggiore sacrificio. Sarà anche per questo che hanno scarso appeal sui giovani? Una volta si diceva «impara l’arte e mettila da parte». Oggi invece i padri che vogliono insegnare un mestiere ai figli devono scontrarsi contro un muro culturale e, spesso, lasciano perdere, convincendosi che un domani probabilmente i giovani faranno professioni che oggi non solo non esistono, ma che non sono neppure immaginabili. Ma saranno professioni vere? Non è che perdendo la capacità di fare, si andrà incontro a un impoverimento culturale e a un decadimento di valori?
Quattro pagine speciali sulla Prealpina in edicola sabato 9 dicembre
© Riproduzione Riservata