L’INDAGINE
«Non sono l’unico»
L’inquietante frase dell’ex viceprimario del Pronto soccorso di Saronno, accusato di cinque omicidi
«Cioè, ma non sono neanche l’unico, ma...»: è a dir poco inquietante la frase intercettata durante una conversazione tra il medico Leonardo Cazzaniga e la compagna, l’infermiera Laura Taroni, entrambi accusati di omicidio volontario plurimo.
La “captazione” risale allo scorso 19 giugno, i due sono in macchina e stanno commentando l’indagine in corso sulle morti sospette in corsia.
A voler interpretare quell’affermazione vien da pensare che il Protocollo Cazzaniga - se davvero dovesse risultare criminale - non fosse un’esclusiva dell’anestesista arrestato martedì 29 novembre dai carabinieri della compagnia di Saronno d’intesa con il pubblico ministero Maria Cristina Ria.
Cazzaniga spiega alla donna: «È considerata ancora eutanasia, hai capito? Nonostante io non abbia... nonostante io sia arciconvinto di aver sedato loro una situazione inemendabile. Ma a tutt’oggi è considerata eutanasia. Io ho subìto una questione di disciplina perché qualcuno ha detto che ho ucciso delle persone».
Al momento l’avvocato Enza Mollica, difensore del sessantaseienne, non commenta.
Attende l’interrogatorio davanti al gip Luca Labianca, fissato per venerdì 2 dicembre.
Identica posizione quella dell’avvocato Monica Alberti, legale dell’infermiera quarantenne.
La mole del fascicolo è tale e tanta da rendere necessario un esame approfondito prima di sbilanciarsi. Del resto Cazzaniga stesso si è posto almeno una volta delle domande sul suo operato.
C’è un soliloquio dello scorso 15 marzo, dopo essere uscito da casa di Laura ed essersi messo alla guida: «Posso o non posso decidere...poi tanto non che io me lo domando, eh! Poi se è legittimo o illegittimo... l’impianto accusatorio deve reggersi non su ipotesi banalmente campate in aria ma su prove concrete, su fatti...dove sono i fatti? Dove sono le prove per riesumare i cadaveri?».
I cadaveri - hanno spiegato gli inquirenti - non verranno comunque esumati, perché ogni accertamento tossicologico a distanza di così tanti anni dai decessi risulterebbe vano. E questo per quanto riguarda i quattro pazienti la cui morte è considerata frutto del cocktail di morfina, benzodiazepine, anestetici.
Sul fronte di Massimo Guerra, marito di Laura, un esame necroscopico è addirittura impossibile: per ragioni di spazi cimiteriali, la salma è stata cremata.
Secondo l’accusa, infatti, l’uomo sarebbe stato ucciso da uno stillicidio di insulina, antibiotici, metformina e antibatterici senza che ci fosse una necessità terapeutica (l’indagata confessò a una collega anche di essere adusa a somministrare nel caffè del marito antidepressivi per ottenerne il calo della libido).
Stessa scelta funeraria, quella di ridurre la salma in cenere, era stata attuata per la madre di Laura, il cui decesso al momento è solo tra quelli sospetti.
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