LO SFOGO
«Non sono uno stalker»
Due volte prosciolto dall’accusa, un impiegato di Ponte Tresa racconta la sua verità: «Cinque anni di calunnie»
«Se così si può dire, sono la prova vivente che, quando finisce una storia d’amore, non è sempre l’uomo il cattivo. Peggio, lo stalker». Finito sotto processo proprio per atti persecutori nei confronti della sua ex e due volte prosciolto (in primo e secondo grado) perché il fatto non sussiste, un 47enne impiegato di Lavena Ponte Tresa prova a spiegare la sua verità rispetto a una vicenda in cui la presunta vittima, una donna di Buguggiate di 10 anni più giovane, «è stata animata da sete di vendetta nei miei confronti» e «ha creato tutto un castello di menzogne per farmi pagare il fatto di averla lasciata dopo cinque anni di relazione». Esagerazioni? «Beh, mi permetto di segnalare che ho deciso di adire le vie legali nei confronti della mia ex fidanzata per tutta una serie di azioni volte unicamente a danneggiarmi», confida l’uomo.
«In un caso, ho chiesto che sia fatta luce sul reato di sostituzione di persona, perché, violando senza remore la mia privacy, ha utilizzato la password della mail per mettermi in cattiva luce; e in un altro caso, chiedo che venga valutato il fatto se vi siano gli estremi di una calunnia, visto che mi ha accusato di averle dato un assegno a titolo di riparazione per aver rubato a casa sua, quando in realtà io le ho sì dato un assegno, ma per mettere fine a un contenzioso legato a spese comuni di una vacanza in cui lei mi accusava di aver pagato di meno». Ancora oggi, ricordando l’episodio dell’assegno, ricorda la minaccia proferita dalla sua ex: «Ero a Varese e quando glielo consegnai - esasperato perché andava in giro dicendo agli amici che le dovevo dei soldi - mi ricordo ancora oggi la sua frase: “Adesso so io cosa farne”. Fu lì che iniziò ad accusarmi di aver rubato a casa sua». Per poi proseguire nello sfogo: «Era così intimorita dalla mia persona, che mi aspettò fuori da un bar di Varese che frequentavo con amici. Sì, ci fu un animato diverbio e io, poiché non incassava quell’assegno, le urlai di farlo al più presto per mettere fine a questa storia. Lei cosa fece? Andò a raccontare che l’avevo aggredita e c’è chi le ha creduto. Ora, a quel che mi risulta, dovrebbe essere indagata per falsa testimonianza».
Il racconto dell’uomo, per cinque anni accusato di stalking, evoca l’immagine dell’incubo: «Proprio così: prima, quando ho deciso di lasciarla, ho dovuto sopportare tentativi di suicidio, veri o presunti. Poi, qualche tempo dopo, ho subito le sue minacce. E lei, solo perché donna, è riuscita a farsi passare come vittima…».
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