L’INCARICO
Caso Macchi: c’è un pm “antimafia”
Gemma Gualdi sostituisce la “pensionata” Carmen Manfredda nel processo contro Stefano Binda
«Sono certa che il fascicolo di Lidia Macchi finirà in buonissime mani», aveva confidato poche settimane prima dell’addio il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda.
Le «buonissine mani» in questione - così ha stabilito il procuratore generale del capoluogo Roberto Alfonso - sono quelle del sostituto pg Gemma Gualdi, magistrato di provata esperienza con alle spalle una carriera trentennale durante la quale, sia da pm (per dieci anni è stata in forza alla Distrettuale antimafia) sia da presidente della sesta sezione del Tribunale di Milano, si è occupata a più riprese di criminalità organizzata: dal primo maxiprocesso sulle cosche mafiose all’ombra della Madonnina, innescato dalle confidenze del re della mala Angelo Epaminonda (correva l’anno 1985), fino alle recentissime condanne all’ergastolo (è storia del mese scorso) disposte dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano a carico dei boss Giuseppe Madonia, Antonio Rinzivillo, Grazio Gerbino e Cataldo Terminillo, accusati di tre omicidi legati alla faida, interna a Cosa nostra, scoppiata a Milano e dintorni a cavallo tra Anni Ottanta e Novanta.
In questi giorni, Gemma Gualdi ha iniziato la sua marcia di avvicinamento al processo al via il 12 aprile a Varese. Unico imputato per l’assassinio e la violenza sessuale della ventenne studentessa di Casbeno, il cui cadavere fu scoperto la mattina del 7 gennaio di trent’anni fa al margine di una strada sterrata nei boschi del Sass Pinì di Cittiglio, è Stefano Binda, 49 anni, di Brebbia, ex compagno di scuola di Lidia al Liceo classico Cairoli, che aveva conosciuto anche attraverso la comune frequentazione di ambienti vicini a Cl.
Un’impresa improba attende il terzo magistrato in ordine di tempo a occuparsi del giallo dei gialli a Varese. Perché se è vero che il Tribunale del riesame di Milano e la Cassazione hanno a più riprese confermato il teorema accusatorio, è altrettanto vero che un processo indiziario come quello a Binda appare irto di difficoltà. Anche se all’appello manca ancora l’esito degli accertamentivolti a “catturare” il Dna dell’assassino di Lidia.
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