CASO MACCHI
Lidia, i periti chiedono i peli di Binda
Esperti ancora al lavoro a un anno dalla riesumazione e a poche settimane dal via al processo
Risale a un anno fa la riesumazione di Lidia Macchi al cimitero di Casbeno. A che punto sono dunque gli accertamenti peritali disposti a suo tempo dal gip Anna Giorgetti sui resti della studentessa di Casbeno, uccisa nel bosco del Sass Pinì la sera del 5 gennaio di 30 anni fa? Accertamenti portati avanti in perfetta sinergia dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo con i Ris di Parma e la biologa e genetista forense dell’Università di Firenze Elena Pilli.
Premesso che le perizie sono state sin dall’inizio blindate, si può sicuramente affermare senza ombra di smentita che, a poche settimane dal via del processo davanti ai giudici della Corte d’Assise di Varese, stia per avere inizio la fase più delicata. Quella che, nelle intenzioni dei periti e nelle speranze delle parti coinvolte (anche della difesa di Stefano Binda, rinviato a giudizio per l’omicidio, ma che da sempre si dichiara innocente), ha sempre avuto un unico obiettivo: individuare un profilo genetico che consenta di dare un nome e un cognome all’assassino. In questo anno di attività, tra l’istituto di Medicina legale di Milano (dove è ancora custodita la salma di Lidia Macchi) e il quartier generale dei Ris in un’ala del Palazzo Reale di Parma, si è fatto il possibile per catalogare le migliaia di formazioni pilifere (principalmente peli e capelli) sulla base della loro forma. È stato un lavoro di catalogazione improbo, a riprova del fatto che ci si trova di fronte a uno sforzo scientifico immane che, forse, vuole mettere una pezza agli errori commessi anche dall’Autorità giudiziaria in sede di indagine (basti ricordare la distruzione della dozzina di vetrini contenenti lo sperma dell’omicida, ndr).
Sta di fatto che, nelle prossime settimane, le formazioni pilifere rinvenute sulla salma saranno comparate con quelle del quarantanovenne di Brebbia. Come da richiesta contenuta nell’incidente probatorio, Cristina Cattaneo ha chiesto e ottenuto di poter acquisire i peli e i capelli di Stefano Binda: un’operazione che dovrebbe compiersi entro un paio di settimane nel carcere di Busto Arsizio.
Poi si procederà alla comparazione morfologica dei peli di Binda con quelli trovati tra i resti di Lidia. In caso di riconducibilità morfologica a Binda, si farà un’analisi genetica provando a estrarre il Dna da peli e capelli. Inoltre, entro fine mese ci sarà una sorta di summit tra periti per decidere quale strategia tecnica dovrà essere adottata per approcciarsi alle unghie delle mani e ai pochi millimetri dell’imene di Lidia, un reperto sopravvissuto alla distruzione ordinata a suo tempo dall’allora gip di Varese Ottavio D’Agostino, perché conservato in paraffina nell’università di Pavia dal professor Mario Tavani, il medico legale varesino autore dell’autopsia che - è emerso di recente - segnalò la presenza di liquido seminale.
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