LIDIA MACCHI
Oggi è il “Binda day”
Udienza dedicata all’interrogatorio dell’imputato. L’appello della famiglia: ««Il Mister X di Brescia mandi il suo Dna in forma anonima: confronto con quello della lettera»
Dopo due anni trascorsi in carcere come presunto assassino di Lidia Macchi (fu arrestato il 15 gennaio del 2016), oggi Stefano Binda sarà protagonista assoluto del processo che lo vede unico imputato davanti alla Corte d’Assise di Varese presieduta da Orazio Muscato (a latere Cristina Marzagalli). A meno di sorprese clamorose nella fase dell’eventuale assunzione di nuovi mezzi di prova dopo la fine dell’istruttoria dibattimentale, Binda renderà infatti l’esame e risponderà alle domande del rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore generale Gemma Gualdi, del legale della famiglia Macchi, l’avvocato Daniele Pizzi, e dei suoi difensori, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli. Ribadendo naturalmente quello che ha sempre sostenuto, e cioè di non avere avuto nulla a che fare, nel gennaio di 31 anni fa, con l’assassinio dell’ex compagna di liceo, massacrata con 29 coltellate dopo la visita a un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio.
Intanto, è la famiglia Macchi, attraverso l’avvocato Pizzi, a prendere un’iniziativa collegata alla questione della paternità della lettera anonima “In morte di un’amica”, che per la Procura generale di Milano rappresenterebbe una sorta di descrizione e confessione del delitto, e sarebbe stata scritta da Binda (lo dice una perizia grafologica di parte, ma la difesa ne ha prodotta un’altra che sostiene l’esatto contrario).
Come si ricorderà, a un’udienza del processo ha partecipato un avvocato di Brescia, Piergiorgio Vittorini, che rappresenta un uomo che sostiene di essere il vero autore della lettera anonima, ma ha vincolato il legale al segreto professionale in relazione alla sua identità. La Corte ha messo quindi l’avvocato Vittorini di fronte a un aut aut - dire tutto, e quindi rivelare anche l’identità del cliente, o non dire nulla - e così la questione del “vero autore” dell’anonimo, dato che Vittorini ha scelto il silenzio, è rimasta in sospeso.
Ebbene, nei giorni scorsi l’avvocato Pizzi ha scritto una lettera al collega Vittorini, per ora senza risposta, con la quale chiede che il presunto vero autore dell’anonimo fornisca alla parte civile del processo varesino, in forma riservata e personale, un suo campione biologico, anch’esso anonimo, che possa essere comparato con il DNA ricavato dalla busta che conteneva “In morte di un’amica” (DNA che non è di Binda).
In parola povere, dunque, la famiglia Macchi e l’avvocato Pizzi chiedono che da Brescia parta un “cotton fioc” impregnato della saliva del presunto vero autore di “In morte di un’amica”, senza alcuna indicazione sulla sua identità, dal quale un biologo di fiducia dei Macchi potrebbe ricavare un DNA da confrontare con quello della busta. «La mamma e i fratelli di Lidia - spiega l’avvocato Pizzi - ritengono di fondamentale importanza che ci sia o non ci sia un riscontro oggettivo rispetto a quanto dichiarato dal soggetto rappresentato dall’avvocato Vittorini. Siamo arrivati infatti a un momento decisivo del processo e tra pochi giorni dovrò concludere, a nome della famiglia, per la penale responsabilità di Stefano Binda, anche sulla base dell’attribuzione della lettera anonima, con richiesta di condanna all’ergastolo e di risarcimento del danno. Ma è chiaro che se risultasse vero che non è stato Binda a scrivere la lettera, la posizione della famiglia e mia cambierebbe moltissimo, dato che abbiamo sempre cercato la verità e non un colpevole a tutti i costi».
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