IL CASO MACCHI
«Quella lettera non è di Binda»
Ex ispettore di Ps, oggi perito calligrafico, esprime forti dubbi sulla paternità della missiva che ha portato in carcere l’ex compagno di Lidia
Che un apporto alle indagini sull’omicidio di Lidia Macchi possa arrivare dal passato, è quello che spera anche la Procura generale di Milano. Che quest’apporto sia fondato sul dubbio sulla corrispondenza di annotazioni, lettere e cartoline imputate all’indagato Stefano Binda, è una novità che potrebbe segnare un punto a favore della difesa. Il fatto poi che questo dubbio sia venuto a un ispettore della polizia di Stato, oggi in pensione, che però è esperto di grafologia, nonché consulente calligrafico del Tribunale e della Procura di Verbania, e che ha lavorato a contatto con l’allora dirigente della Squadra Mobile varesina, Giorgio Paolillo, fa sì che questo dubbio sia degno d’attenzione. L’ex investigatore di polizia scientifica e giudiziaria della Procura verbanese si chiama Fortunato Marcovicchio.
«Giorni fa - racconta Marcovicchio - mi sono incuriosito rispetto a quanto affermato in un’intervista da don Giuseppe Sotgiu, riguardo alla grafia di Stefano Binda. In sintesi, il sacerdote affermava che la scrittura della lettera anonima in virtù della quale l’ex compagno di scuola di Lidia è sospettato d’omicidio, non è di Binda, il quale «ha una grafia più arzigogolata». Dopo aver letto l’articolo, ho cercato su internet sia la lettera anonima sia gli scritti ricondotti dagli investigatori alla manualità grafica di Binda.
Ho fatto - prosegue l’esperto grafologico - una semplice osservazione dei tracciati. In effetti, la scrittura della lettera anonima non è paragonabile alla manualità di Binda. In particolare, oltre a un’evidente differenza riguardo al grado di evoluzione conseguente alla maturità psicomotoria, si possono cogliere dissimilitudini che meritano un’attenta valutazione. A parte che la scrittura di Binda è caratterizzata da un’estetica che la rende più piacevole all’osservazione, essa presenta anche soluzioni grafomotorie del tutto dissimili alle omologhe presenti nella lettera anonima. Basta soffermarsi nell’osservare le costruzioni della lettera “G”. Anche uno sprovveduto ne rileverebbe le differenze. Lasciando però le verifiche a un consulente, mi preme far notare che l’autore della lettera anonima scritta in stampatello, appone, in maniera errata, il puntino sulle “i”, ciò che che non si nota nelle scritture ricondotte a Binda. Il quale è a un grado di maturità intellettuale più avanzato rispetto all’estensore della lettera anonima. L’apposizione del puntino è poi un’azione quasi del tutto inconscia, per cui la differenza è di rilievo.
Sulla base della precaria comparazione che è possibile fare con le immagini scadenti delle scritture ricavate da internet, penso che Binda non c’entri con quegli scritti, quantunque il contenuto della missiva non sia di per sé determinante. E credo che difficilmente l’assassino avrebbe inviato una lettera alla famiglia, dopo quello che aveva fatto».
S’è fatto un’idea precisa sulla presunta personalità del killer?
«Non sta a me indagare e semmai avessi un’opinione me la terrei per me».
Perché allora manifestare questo dubbio pubblicamente?
«Non conosco il punto delle indagini - conclude Marcovicchio - né posso sapere se vi siano altri gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato. Mi attengo a quel che si sa del caso Macchi dalla stampa e dalle trasmissioni televisive. Però, per quello che si può vedere e conoscere, mi pare un atto doveroso esternare un dubbio che è più che fondato e che riguarda anche la vita di una persona oggi detenuta».
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