Riforme
Referendum, l'arbitro Mattarella attende valutazioni Renzi-Pd
Prenderà atto indicazioni premier e regolamenterà partita in campo
Roma, 4 dic. (askanews) - Quello che accadrà lunedì, il
giorno dopo il referendum costituzionale è in mano solo ed
esclusivamente al presidente del Consiglio - e, da non
sottovalutare, segretario del Pd - Matteo Renzi. Un presidente
del Consiglio, e leader di partito, che governa la maggioranza in Parlamento e che quindi può decidere come comportarsi. A questo atteggiamento dovrà evidentemente 'rispondere' il capo dello Stato Sergio Mattarella, un "arbitro" pronto a dire la sua ma sempre attento alle dinamiche parlamentari e alle sue
prerogative. Fino a prendere atto della possibile indisponibilità del premier a continuare, in caso di sconfitta seppur di misura al referendum e formalizzare la crisi.
Renzi, nel caso di sconfitta, non ha certo l'obbligo
costituzionale delle dimissioni - non è mai successo che un
referendum, quale che sia, abbia portato alla crisi di governo e al conseguente scioglimento delle Camere - perché la consultazione (e gli schieramenti che genera) è un fatto eminentemente politico.
Ovviamente se Renzi dovesse vincere il referendum il Quirinale
non sarà interpellato. Analogamente, se dovesse vincere il No (che rimarrebbe sempre e comunque un fatto politico e non
parlamentare) il Colle non avrebbe titolo a intervenire. Questo
perché la sollecitazione ad un eventuale cambio di governo
dovrebbe arrivare dal presidente del Consiglio in carica. In
sostanza, deve essere Renzi a "bussare al citofono" del Colle per dire che si dimette. A questo punto Mattarella ha davanti due possibilità: il rinvio alle Camere per verificare l'esistenza di una fiducia all'esecutivo; l'apertura delle consultazioni nel caso le dimissioni del premier fossero irrevocabili.
In sostanza Renzi di fronte ad una vittoria del No al referendum
o a una valutazione politico-percentuale della sua sconfitta,
potrebbe dire - al di là dei pronunciamenti parlamentari - di non avere più intenzione di guidare l'esecutivo.
E' bene ricordare che Mattarella in questi giorni, incontrando
degli studenti, ha sostenuto come il suo sia un ruolo di
"arbitro": quando "il gioco si svolge regolarmente, senza falli e irregolarità, l'arbitro neppure si nota, quasi non ci si
accorge". Il compito del presidente della Repubblica, ha
ricordato, è fatto di "esortazione e suggerimenti", un'azione
svolta "attraverso la persuasione. È un lavoro che non si vede e
che non si fa con proclami".
Affermazioni queste di Mattarella di carattere generale ma che
non possono non richiamare l'attuale e complessa situazione
politica. Insomma, un presidente della Repubblica arbitro - o
notaio, come spesso erroneamente si è detto - che però non è
esente da sue considerazioni. Anche perché Mattarella, prima
di ogni valutazione su una eventuale crisi del governo Renzi,
dovrà tenere conto dei numeri in Parlamento. Numeri che vedono
nel Partito democratico la forza politica più forte, con una
maggioranza in grado di dettare legge. Quello che in sostanza
emerge è che il capo dello Stato non può fare nulla se non ci
sarà una crisi conclamata, dovuta alla mancanza di numeri in
Parlamento o a dimissioni irrevocabili di Renzi. Ma sono
dimissioni che dovrebbero essere appoggiate dal partito del
premier, il Pd. E qui nasce la contraddizione di Renzi, da un
lato presidente del Consiglio e dall'altro segretario del Partito democratico: il premier si dimette ma sa benissimo che nessun governo può nascere se non c'è una partecipazione del Pd. A meno che non si abbia un "golpe" all'interno dello stesso partito, con Bersani, D'Alema e la sinistra Dem che si accorderebbero con gli avversari di sempre Salvini, Berlusconi, Meloni, Grillo, per far nascere un nuovo esecutivo. Peraltro con il necessario avallo del capo dello Stato.
La questione in fin dei conti è che, finché Renzi sarà segretario del Pd e avrà la maggioranza alle Camere nessuno potrà contrastarlo, le decisioni sul governo saranno sue. Fermo
restando il ruolo del capo dello Stato Sergio Mattarella, la cui
strada sembra essere molto chiara: se dovesse esserci crisi di
governo la strada più semplice sarà il rinvio dell'esecutivo
dimissionario alle Camere; nel caso di assoluta indisponibilità
del premier a continuare la sua avventura governativa ci sarà
l'apertura della crisi.
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