LA DUE GIORNI ALLE URNE
Ilaria Pagani nuovo sindaco di Saronno
Giochi fatti anche se mancano i risultati definitivi. Battuto Rienzo Azzi. Referendum flop: affluenza al 30,6% per i cinque quesiti

Ilaria Pagani è il nuovo sindaco di Saronno. Per la prima volta la città sarà guidata da una donna. Per lei (Pd, Tu@Saronno e Insieme per crescere) il 52,61% (8.418 voti) contro il 47,39% (7.583 voti) di Rienzo Azzi (Fdi, Fi e Lega). Il risultato era già certo prima dell’ora di cena e la festa era iniziata davanti alla sede del Pd saronnese. Il vantaggio di Pagani si era consolidato già dopo il “giro di boa”. Quando erano state scrutinate 30 sezioni su 38 la candidata di Partito democratico, Tu@Saronno e Insieme per Crescere era al 52,89% (6.671 voti), mentre Rienzo Azzi inseguiva al 47,11% (5.943). In serata i numeri definitivi e l’ufficialità del successo di Pagani.
SEGGI CHIUSI
Alle 15 in punto di oggi – lunedì 9 giugno – si sono chiusi i seggi per il secondo turno delle elezioni amministrative a Saronno e in tutta Italia per il referendum (con cinque quesiti, uno sulla cittadinanza e quattro relativi al lavoro).
AFFLUENZA IN SALITA
L’affluenza definitiva per il voto delle Comunali a Saronno si conferma in aumento rispetto al primo turno: ha votato il 53% degli aventi diritto contro il 50,04% del 25 e 26 maggio. Il ballottaggio era tra Rienzo Azzi (Fdi, Fi e Lega, 43,29%) e Ilaria Pagani (Pd, Tu@Saronno e Insieme per crescere con il 27.56%). Il primo dato sui quali c’era molta attesa era proprio quello dell’affluenza alle urne. Tra le poche cose su cui centrodestra e centrosinistra si sono trovati d’accordo c’era infatti l’auspicio che al secondo turno potesse aumentare l’affluenza.
REFERENDUM
Secondo i dati del Viminale, a urne chiuse sui referendum, l’affluenza media nazionale è stata intorno al 30,6% (30,58% per i primi tre quesiti; 30,59% per il quarto e il quinto). È il valore che emerge dall’esame di tutte le 61.591 sezioni in Italia. In Lombardia ha votato: il 30,70% degli elettori per il primo e il secondo quesito; il 30,71% per il terzo; il 30,73% per il quarto; il 30,76% per il quinto. In provincia di Varese: il 28,87% per il primo e terzo quesito; il 28,86% per il secondo; il 28,89 per il quarto; il 28,90% per il quinto. Il dato più alto è quello di Saronno dove si votava anche per il ballottaggio.
ABOLIZIONE DEL JOBS ACT
Il primo dei quattro referendum sul lavoro, promossi dalla Cgil, chiede la cancellazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotto nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi, applicata a chi è stato assunto dal 7 marzo 2015 in poi. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, in diversi casi di licenziamento illegittimo non c’è il reintegro nel posto di lavoro previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 ma un indennizzo economico che può arrivare fino a un massimo di 36 mesi. Per la Cgil, gli occupati assunti dopo il 7 marzo 2015 sono oltre 3 milioni e 500mila, che aumenteranno nei prossimi anni, e sono «penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto». L’obiettivo è di abrogare la norma e «impedire licenziamenti privi di giusta causa».
CONTRATTI A TERMINE
Il terzo quesito riguarda il Jobs act, ma anche l’ultimo intervento del governo Meloni, puntando all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine. In Italia, calcola la Cgil, circa 2 milioni e 300mila persone hanno contratti a tempo determinato. I contratti a termine oggi possono essere instaurati fino a 12 mesi senza causali, ovvero senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. L’obbligo di causali per i contratti a termine fino a 12 mesi era stato eliminato nel 2015 con il Jobs act e reintrodotto nel 2018 con il decreto Dignità del governo Conte. L’ultima modifica nel 2023 con il decreto del governo Meloni, che ha escluso per i rinnovi e per le proroghe l'esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi. «Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato», è la richiesta del referendum.
RISARCIMENTI AI LICENZIATI
Il secondo quesito sul lavoro chiede più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese. In particolare riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle imprese con meno di 16 dipendenti: qui in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere sei mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto di lavoro. Il bacino di riferimento è di circa 3 milioni e 700mila, il numero dei dipendenti delle piccole imprese calcolato dalla Cgil. L’obiettivo è «innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite». Il giudice tornerebbe così ad avere più discrezionalità nello stabilire il valore del risarcimento.
LA SICUREZZA NEGLI APPALTI
Il quarto quesito referendario interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro e riguarda il cosiddetto Testo unico del 2008. La Cgil ricorda che sono circa 500mila le denunce di infortunio sul lavoro in un anno e mille i morti: questo vuol dire che in Italia ogni giorno tre persone muoiono sul lavoro. Nel mirino ci sono gli appalti e i subappalti. Si chiede di modificare le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Oggetto del quesito è l’esclusione della responsabilità solidale di committenti, appaltanti e subappaltanti negli infortuni sul lavoro. L’obiettivo dei proponenti è eliminare le norme che impediscono di estendere la responsabilità alle imprese appaltanti. «Estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro», sostiene la Cgil.
CITTADINANZA AGLI STRANIERI
L’8 e 9 giugno si voterà anche sulla legge del 1992 che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Secondo la legge in vigore, un adulto straniero, cittadino di un Paese che non fa parte dell'Ue, deve risiedere legalmente 10 anni in Italia per poter chiedere la cittadinanza italiana. L’obiettivo del referendum è ridurre a cinque anni il periodo di residenza, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Il termine dei dieci anni rappresenta la regola generale ed è tra i più lunghi in Europa. La riduzione del requisito potrebbe semplificare anche il percorso per molti minori stranieri: a oggi un minore straniero nato in Italia da genitori non italiani non acquisisce automaticamente la cittadinanza ma può richiederla al compimento dei diciotto anni se ha risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia fino a quel momento.
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