NEI PENITENZIARI
Varese e Busto, sesso in carcere. Ora si può
Sentenza della Corte Costituzionale: sì all’affettività negli incontri coi detenuti senza controllo visivo della polizia penitenziaria. È polemica
La Corte costituzionale, con la sentenza numero 10 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.
Questo consentirebbe momenti di intimità. «L’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società».
La norma censurata, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.
Viene fatto inoltre rilevare che la maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità.
LA VOCE CONTRARIA
«Il sesso in carcere è una previsione inutile e demagogica, anche in termini di sicurezza stessa del sistema. Si introduca piuttosto il principio di favorire il ricorso alla concessione di permessi premio a quei detenuti che in carcere si comportano bene, che non si rendono cioè protagonisti di eventi critici durante la detenzione e che lavorano e seguano percorsi concreti di rieducazione. E allora, una volta fuori, potranno esprimere l’affettività come meglio credono». Questa la presa di posizione di Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, commentando la sentenza n.10 del 2024 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario.
«Certo, fa riflettere il fatto che in una situazione penitenziaria nazionale endemicamente complessa in cui anche gli interventi di edilizia sono assai contenuti, assuma priorità la previsione di destinare stanze o celle per favorire il sesso ai detenuti», prosegue Capece, per il quale «i nostri penitenziari non possono e non devono diventare postriboli così come i nostri Agenti di Polizia Penitenziaria non devono diventare guardoni di Stato».
Per la Sappe altri sarebbero gli interventi urgenti per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: «Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l'istituto della 'messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare». Il terzo livello infine «è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario».
«Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato - aggiunge il segretario generale del Sappe - pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti».
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