LA DENUNCIA
«Non entri perché sei nero»
Discriminato un diciassettenne all’ingresso di un locale cittadino. Gli amici: «Ce ne andiamo anche noi»

«Non facciamo entrare gli stranieri». E ancora: «Non vogliamo guai, alcuni ragazzi di colore hanno causato disastri le scorse settimane, qui non si entra».
Questo è stato il tono con il quale un diciassettenne varesino con la pelle scura, perché di padre di origine senegalese (e mamma italiana) è stato respinto da un noto locale della città frequentato da molti ragazzini.
«Se non entra lui, ce ne andiamo anche noi», hanno detto gli amici del giovane».
E così hanno fatto. Una lezione di solidarietà e integrazione al contrario.
A raccontare l’episodio è il padre del diciassettenne abitante in città.
«Mio figlio è nero e dunque è stato discriminato in modo becero, ha provato il razzismo, credo per la prima volta in modo reale e concreto», racconta l’uomo, cinquantenne, da 25 anni in Italia, perfettamente integrato nel territorio varesino, impeganto in associazioni culturali prima che gli impegni lavorativi e familiari gli facessero «allentare la presa» ma del quale non riportiamo il nome, su sua richiesta.
Ha impiegato un po’ per metabolizzare la storia, avvenuta qualche giorno fa, e per decidere di «vuotare il sacco» anche a fronte della reazione del ragazzino, studente liceale, piccolo grande campione nello sport, molto conosciuto in città.
«Per giorni non ha voluto uscire se non per gli impegni di scuola e di sport. Non è stata una bella esperienza».
La scusa sembra che sia stata quella della carta di identità lievemente rovinata, in coda all’ingresso del locale. Un momento di discussione, la richiesta di delucidazioni e quindi la spiegazione «che ha raggelato mio figlio e i suoi amici».
Perché il giovane, non era da solo. Sui è presentato con un amico di origine sudamericana e con un drappeloo di amici e amiche varesine doc. Anche il ragazzino non gradito è varesino, anzi, «italianissimo, come me che ho la doppia nazionalità - dice il padre - mentre mio figlio è nato in Italia e ha ripetuto, quella sera, ma io sono italiano, ma io sono italiano...».
Gli amici che erano con lui, non lo hanno abbandonato. «Se non entra lui non entriamo nemmno noi», hanno detto. E così hanno fatto. Tutti insieme hanno girato i tacchi e sono tornati verso le loro abitazioni. Una solidarietà oltre il colore della pelle, oltre le origini, una lezione di antirazzismo e integrazione che difficilmente avrà colpito chi ha deciso di chiudere le porte del locale pubblico al giovane “nero”, ma che il padre del ragazzino vuole fare sapere.
«Con quella frase, con quel gesto che ha respinto mio figlio, sono stati annullati anni di insegnamento - racconta l’uomo -. Quando mio figlio mi ha raccontato, oltre all’ira e alla delusione, mi sono detto: ecco, tanti anni di educazione, di buona educazione credo, di esempio, sgretolati».
Al figlio, ai suoi due figli, il padre ha sempre spiegato che Varese è stata una città accogliente, nonostante le difficoltà al momento dell’arrivo e dei primi passi nel mondo del lavoro».
Continua il papà del giovane: «Prima io e poi la mia famiglia non abbiamo ci siamo inseriti bene e sinceramente mai, nemmeno quando ero un ragazzo, mi è capitato, nei locali di Varese e di Milano, di subire discriminazioni».
L’episodio di discriminazione di cui è stato vittima il ragazzino, «non deve distruggere l’idea e gli insegnamenti che io e mia moglie abbiamo dato ai nostri figli, forse è questa la cosa che più mi fa male di tutta questa vicenda». Nelle ore e nei giorni successivi all’episodio, c’è stato il confronto con gli amici del giovane, la loro solidarietà, il loro stargli vicino.
«E così mi sono detto: in realtà, ai proprietari del locale, quei ragazzini hanno dato una bella lezione di integrazione e antirazzismo - continua l’uomo -. Dei minorenni hanno dato un bell’insegnamento agli adulti, un insegnamento che di certo quelle persone che hanno guardato solo il colore della pelle di mio figlio non hanno colto, e così mi sono detto: questa storia forse è giusto raccontarla».
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