L’INTERVISTA
I segreti di Sant’Antonio? «Devozione, superstizione e folclore»
Il presidente dei Monelli spiega il perché del successo della festa varesina
«Quella di quest’anno, dopo oltre mezzo secolo, sarà la prima edizione del falò senza lo storico presidente Angelo Monti, ma nello stesso tempo il padre nobile dei Monelli sarà più presente che mai».
Lo dice Giuseppe Redaelli, presidente dei Monelli della Motta, associazione che da sempre porta avanti la tradizione del falò di Sant’Antonio.
«La novità è la via che gli sarà intitolata (è un tratto di via Montalbano, di fianco alla chiesa della Motta). Ma Angelo Monti verrà ricordato in tanti modi e non mancheranno sorprese. Anche l’opuscolo fatto è incentrato sul suo ricordo, abbiamo tentato di tratteggiare la figura di un uomo sociale, politico e sportivo».
Qual è la forza di questa festa? Come mai è tanto amata a Varese?
«È una festa fatta di tanti elementi diversi e complementari. C’è la devozione, la superstizione, il folclore e anche la coreografia. Non si può non rimanerne incantati. Penso che ognuno abbia dei ricordi personali legati a questa festa».
Specialmente se, durante la festa, trovi l’anima gemella…
«La tradizione dice questo: “Sant’Antonio dalla barba bianca, fammi trovare ciò che manca”, dove quello che manca è la persona amata. E di persone che raccontano che Sant’Antonio abbia fatto il miracolo facendo incontrare l’anima gemella ce ne sono tante. Poi nel tempo al Santo si è chiesto un po’ di tutto: salute, lavoro, quest’anno credo che in molti si appelleranno al Santo per chiedere la pace nel mondo. E speriamo che Sant’Antonio accolga le richieste».
Un’altra tradizione è il del lancio dei palloncini, che portano messaggi di pace anche molto lontano da Varese. Fin dove sono arrivati?
«Frequentemente ben oltre le Alpi, ne era molto fiero Angelo Monti che ne teneva traccia e personalmente si occupava dell’organizzazione. Adesso il lancio dei palloncini verrà portato avanti anche con la collaborazione della nipote Chiara. Credo che Angelo ne sarà molto contento».
Tradizione forse meno nota è quella del risotto servito alle autorità dopo l’accensione del falò, nella sede dei Monelli…
«Sì, quella è una mia innovazione, e ogni anno mi impegno a inventare un risotto diverso. Proprio in queste ore - ieri pomeriggio, ndr - sto preparando gli ingredienti che devono rimanere rigorosamente segreti fino alla sera del falò».
Le tradizioni culinarie si rincorrono in questa festa. Alcune spariscono: ad esempio i pessitt, le alborelle secche e salate, sono andate perdute. Non è vero?
«Avevamo tentato di riproporle, ma erano davvero in pochi nostalgici a richiederle».
Qualche suo desiderio chiesto al Santo si è avverato?
«Confesso di non aver mai fatto in tempo a mettere un bigliettino nella pira. Il giorno del falò sono sempre preso da mille cose e alla fine me ne dimentico. Ma quest’anno vedrò di provvedere… non è mai troppo tardi».
Desiderio molto sentito in città è che la tradizione del falò duri per sempre. Si riuscirà?
«In effetti durante il Covid mi sono davvero reso conto di quanto le persone tengano alla festa di Sant’Antonio. Mi hanno chiesto tutti se il falò si sarebbe fatto, oppure no. E molti sono stati quelli che si sono collegati per la diretta online a porte chiuse. Davvero in quella occasione ho percepito l’importanza di questa ricorrenza a Varese».
© Riproduzione Riservata