IL DRAMMA DELLA GUERRA
L’appello di padre Volodymyr: “Non dimenticate gli ucraini che soffrono”
Il sacerdote vice a Cocquio e gestisce un magazzino di aiuti a Varese: «La gente sta nelle case a 8 gradi»
Fame e freddo. C’è chi non dimentica l’Ucraina in questa guerra dimenticata. Dimenticata perché si parla di bombe e di battaglie, dei contatti tra i leader del mondo, delle centrali elettriche distrutte, dei risvolti della crisi energetica che arrivano fino. Poi però ci sono le famiglie, i bambini che rischiano di morire al gelo e di stenti perché dove vivono luce e riscaldamento sono azzerati, non si può cucinare, non c’è più cibo se non quello in scatola che arriva dall’estero.
GLI AIUTI UMANITARI
Gli aiuti umanitari partono anche da realtà piccole cresciute nel tempo come l’incredibile macchina organizzativa coordinata da padre Volodymyr Misterman, che vive a Cocquio, gestisce un magazzino di aiuti a Varese in zona Valganna (messo a disposizione sempre grazie a una cordata di aiuti tra varesini) e dal 24 febbraio scorso, giorno dell’attacco russo all’Ucraina (il sacerdote da subito ha detto «non finirà presto» e purtroppo ha avuto ragione) invia almeno una volta a settimana pacchi di cibo e altro in Ucraina. Partono furgoni dal capoluogo e dal Gallaratese, terre dove padre Volodymur è cappellano della comunità cattolica dei fedeli ucraini di rito bizantino.
BISOGNO DI TUTTO
«Abbiamo bisogno di coperte, di abbigliamento termico, di alimenti, di lampade ricaricabili, di candele, di molte medicine, perché la gente si ammala: è nelle case a 8-10 gradi, l’influenza assale, servono paracetamolo e ibuprofene, i farmaci scarseggiano». La situazione è tragica ovunque: dove la popolazione è stata liberata dal giogo russo, dove i profughi interni, oltre 500mila persone, si sono rifugiati, «arrivano senza nulla o al massimo con una piccola valigia per tutta la famiglia, ma in qualche modo - continua padre Volodymyr - devono andare avanti». Da qui l’appello al territorio, alle associazioni, alle imprese a chiunque abbia la possibilità, di «non dimenticare la popolazione ucraina rimasta lì». Il prete cita una sua esperienza personale. In un suo piccolo appartamento, a Ivano-Frankivsk dove viveva, ha ospitato alcuni profughi. «Mi hanno chiamato, devono lasciare la casa, la centralina elettrica vicina è saltata, in locali senza luce e riscaldamento non possono vivere, devono trovare un’altra sistemazione, spostarsi ancora». Un dramma senza fine.
MAGAZZINO SEMIVUOTO
Ai tanti che finora hanno sostenuto il popolo ucraino padre Volodymyr ringrazia dispensando foto delle famiglie con cui è più in stretto contatto, ma soprattutto dei bambini che ricevono i pacchi di cibo. Su alcune scatole pronte per la partenza, nel deposito, c’è scritto “Makapon”, cioè pasta, su altre, chiuse, il contenuto è scritto solo in italiano. Il magazzino è però semivuoto, rispetto a mesi fa. Serve uno sforzo ulteriore, in questi giorni particolari, anche per le festività: noi ci lamentiamo per i termosifoni a un grado in meno ma programmiamo cenoni, in Ucraina c’è un popolo massacrato anche dal generale inverno, senza un pasto caldo.
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