IL CASO
Ruspe alla Rasa, decide il Tar
Doppio ricorso dei proprietari dell’area che chiedono la ripresa delle attività di scavo dopo anni
La possibilità non è per niente campata in aria: la cava di pietrisco e ghiaia alla Rasa potrebbe riaprire i battenti.
Dopo anni di inattività imposta dai piani di escavazione approvati da Provincia e Regione nonché dal piano territoriale del Parco Campo dei Fiori, la proprietà della società “La Rasa” (con sede in via Provinciale 198, ultimo lembo di territorio comunale di Varese prima di entrare in quello di Brinzio) ha infatti deciso di presentare due ricorsi al Tar.
Uno contro tutti gli enti interessati (Regione, Comunità montana Valli del Verbano, Parco e i due Comuni coinvolti) per ottenere «l’annullamento degli atti relativi al diniego di riapertura della cava e conseguente risarcimento dei danni»; l’altro contro la Regione e la Provincia per impugnare lo stralcio ai rispettivi piani che, di fatto, ribadiscono il divieto totale di escavazione nel Varesotto solo per i siti della Rasa e di Cantello.
Il dibattimento al Tribunale amministrativo lombardo è in calendario martedì prossimo e concernerà in seduta congiunta entrambi i ricorsi in quanto l’uno dipendente dall’altro.
«Si tratta di una situazione giuridica e legislativa complessa, della quale si sta occupando per noi l’avvocato Emanuele Boscolo - spiega il presidente del Parco Campo dei Fiori, Giuseppe Barra-. Complessa e anche preoccupante perché nel caso in cui i cavatori ottenessero anche un parziale via libera si aprirebbe un vuoto normativo difficile da colmare in tempi brevi e, quel ch’è peggio, verrebbe spalancata, seppure in via al momento remota, l’ipotesi di tornare a scavare». Fatto è che, dopo decenni di tira-e-molla tra la stessa proprietà privata (nel tempo sottoposta a cambio di ragione sociale), gli enti locali e le associazioni ambientaliste, aveva finito con il prevalere quello che alcuni ritengono essere «l’interesse pubblico».
Ospitare una miniera a cielo aperto nel bel mezzo di un parco regionale e addirittura a un solo chilometro dalla sede dell’ente era parso a molti come una contraddizione; per non parlare della “cicatrice” evidente a chiunque ancora oggi salga a Campo dei Fiori o alla Martica e guardi il paesaggio offeso da un grande “buco” dal quale per quasi un secolo è stato estratto soprattutto pietrisco porfirico utilizzato nei sedimenti di linee ferroviarie, autostradali, aeroportuali; ma vanno pure aggiunti alcuni pericolosi episodi di smottamento, l’ultimo dei quali negli anni Ottanta aveva sfiorato la strada provinciale che collega il capoluogo con la Valcuvia. «Il nostro piano territoriale contrasta totalmente con la presenza della cava, per cui avevamo detto no anche all’ultima richiesta di riapertura che risale a circa tre anni fa e su quella posizione si sono raccordati gli altri enti» ricorda Barra. Ora la parola è al Tar.
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