NO ALLA VIOLENZA
Studenti con il coltellino: «Dobbiamo difenderci»
La Polizia entra nelle classi per contrastare il bullismo
«Devo difendermi, a scuola mi hanno minacciato». La risposta, gli agenti della Polizia di Stato di Varese, l’hanno sentita spesso, fuori dalle scuole superiori, durante alcuni controlli. Il coltellino svizzero, quello a serramanico, la (falsa) convinzione che se la lama è meno di 4 centimetri non si incappa in problemi. Invece i problemi ci sono eccome, se si viene fermati e il rischio è di essere denunciati per possesso di oggetti atti a offendere. Tanto più che la perquisizione è possibile senza alcun mandato, se vi sono alcuni requisiti.
I ragazzini che pensano di non avere problemi ad andare in giro armati («Ho preso il coltellino del papà» piuttosto che «dello zio che va a funghi») si sbagliano di grosso.
Nelle aule, gli agenti della Questura combattono il bullismo e danno informazioni utili sui rischi nell’utilizzo di spinelli o altre droghe, sia per la salute sia dei guai sul fronte amministrativo o penale.
Sia la Polizia Postale sia gli agenti della Questura (Squadra Mobile e Volanti) vanno nelle scuole della provincia a fare lezioni, seguite con molta attenzione dai bambini delle elementari (di solito di quarta e quinta), dai ragazzini delle medie (di solito di prima o di terza), degli studenti delle superiori. Tra gli adolescenti vanno soprattutto gli esperti del web e dunque gli agenti della Polizia postale che in agenda hanno - tra già eseguiti e altri da fare - circa 25 incontri con scolaresche per parlare soprattutto di cyberbullismo. In poco più di quattro mesi di scuola, un numero identico di incontri sono stati eseguiti o lo saranno dagli agenti della Questura. «Dalla gestione delle immagini sul web o sugli smartphone ai rischi se si viene trovati in possesso di sostanze stupefacenti la Polizia cerca, andando nelle scuole, di fare conoscere i rischi di alcuni comportamenti e quali siano le conseguenze», dice Francesco Pino, capo di gabinetto della Questura. «I bambini e i ragazzi sono attenti, curiosi, fanno domande».
Chiaro che i più piccoli sono affascinati da manette e pistola e un classico è la richiesta di fare vedere l’arma, cosa che naturalmente non viene mai fatta. Più in là con l’età cambia tutto. Alle medie, per esempio. «I ragazzi sono molto più sensibili e intuitivi di quanto si possa immaginare - spiega Fabio Ermoli, assistente capo coordinatore, all’Ufficio Volanti - a volte mi è capitato al termine di un incontro che qualcuno si commuovesse o venisse ad abbracciarmi, gesti che scaturiscono evidentemente dall’elaborazione di esperienze vissute».
Ragazzini forse vittime di episodi di bullismo o al contrario che li hanno inflitti e che si sono “pentiti”. «Cerchiamo di spiegare che noi siamo con loro e che alla Polizia ci si deve rivolgere se accade qualcosa a scuola o fuori, non ci si deve fare giustizia da soli, mai».
Tra i giovanissimi, ma già imputabili - cioè al di sopra dei 14 anni - continua a rimanere ferma la convinzione che la sostanza stupefacente per uso personale sia tutto sommato “poco pericolosa” per le conseguenze, in caso di controllo da parte di un poliziotto. In realtà, non è così: se ci sono dosi, per quanto piccole, che fanno ipotizzare a uno smistamento, allo spaccio, la situazione cambia.
Tra gli argomenti trattati nelle lezioni in classe c’è anche quello più generico ma non meno importante della legalità che fa da filo conduttore ai programmi didattici a scuola. Si parla anche di truffe agli anziani e di femminicidi: è già capitato di dover rispondere a domande sul caso di Giulia Cecchettin, ai poliziotti varesini in cattedra.
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