SALUTE
Pronto soccorso in tilt: la terapia del Comune di Varese
Il sindaco Galimberti e il consigliere delegato Bonoldi spiegano le ragione dell’aiuto offerto per risolvere i problemi al Circolo
«I problemi sono a monte e a valle, lì bisogna intervenire». Dice che i guai del Pronto soccorso «sono il sovraffollamento e anche la mancanza di posti letto in genere e su questi aspetti vogliamo dare il nostro contributo».
Guido Bonoldi è il consigliere delegato alla Salute a Palazzo Estense. Domenica, 14 gennaio, ha firmato insieme con il sindaco Davide Galimberti una lunga nota sulla necessità di un percorso partecipato per la riorganizzazione del Pronto soccorso. Un documento con il quale il Comune si offre di fornire “qualificati supporti, anche attraverso il Comitato Varese in Salute”.
La situazione è complicata: ore che si trasformano spesso in giorni d’attesa al Pronto soccorso, mancanza di barelle, punta dell’iceberg di disagi acuiti dal maggiore afflusso causato dall’influenza (e in parte dal Covid). Problemi di oggi e problemi di domani, quando il direttore del Ps, il professor Walter Ageno, lascerà Varese per andare a dirigere un reparto di Medicina in Svizzera.
Guido Bonoldi, medico di lungo corso prestato in questa fase alla politica, è una sorta di assessore locale alla Salute. Un doppio ruolo, il suo: quali le ipotesi alle quali lavorare, dunque? «Penso ad alternative sul territorio per i codici minori e per decongestionare il Ps, ma anche a ricoveri diretti che evitino o riducano la permanenza al Pronto soccorso ai più anziani e fragili e a servizi che possano ampliare più velocemente l’offerta di degenza». Tiene a precisare, Bonoldi, che il Ps del Circolo «ha una dotazione ottima di competenze e organizzazione per affrontare tutte le patologie tempodipendenti, come ictus, infarti e anche per i traumi maggiori»; che il rapporto tra Comune e Asst Sette Laghi e con il direttore generale Giuseppe Micale è ottimo e che la lettera aperta di Galimberti e dello stesso Bonoldi sono solo nell’ottica della massima collaborazione.
Il documento punta in sostanza su tre temi. Il primo: «È importante ascoltare i medici di base, il personale sanitario, i servizi socio-assistenziali dei comuni, le rsa e le rsd della zona al fine di comprendere bene come questi soggetti (esterni al Ps) possano contribuire a migliorare i servizi offerti dal Pronto soccorso ed a decongestionarlo». Secondo punto: «(...) le case di comunità (...) devono entrare nella reale organizzazione sanitaria e nel percepito delle persone». E ancora: «l’organizzazione del Pronto soccorso (...) è strettamente legata a rendere concretamente operative le case di comunità, perché possano offrire un’alternativa alla gestione dei codici minori e meno gravi».
Intanto, la situazione difficile continua. E potrebbe peggiorare quando - e se non si troveranno soluzioni diverse - dall’1 febbraio le cooperative di medici non potranno più, in Regione, dare supporto con i medici per coprire i turni nei vari Pronto soccorso. L’Asst può però fare contratti a libero-professionisti.
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