L’INCHIESTA
A Busto Arsizio il dialetto non è morto
Anche i giovani conoscono la lingua "popolare"
Il bustocco non è morto, ma si nasconde molto bene. Del resto, chi può dire ancora oggi di aver imparato il dialetto locale prima dell’italiano? Forse solo la generazione di Marisa Colombo, 82enne e sinaghina da tutta la vita, che dichiara: «Sono nata col dialetto, io. Le prime nozioni di italiano le abbiamo imparate alle scuole elementari, dove si doveva per forza parlare la lingua nazionale. Se nel diario mettevi una parola in dialetto, ti correggevano». Sono decenni, ormai, che il bustocco non è più la lingua materna di nessuno. Eppure anche fra i più giovani, sorprendentemente, c’è chi prova a conservare brandelli della parlata di Busto Arsizio. Ne è un esempio Mattia Caccia, 23 anni, residente a Bienate ma habitué di Sacconago fin dall’infanzia, fin dai tanti pomeriggi passati a casa dei nonni. E proprio con loro, ancora oggi, Mattia ama sfoderare qualche frase in bustocco, soprattutto perché «crea un po’ più di complicità con i miei nonni»: un uso affettivo del dialetto, mosso anche dalla consapevolezza che «sentir parlare la loro lingua, secondo me, è una cosa che apprezzano molto».
Anche Elisabetta Crespi, 45enne di Sant’Edoardo, deve quello che sa di dialetto all’ambiente familiare: «Sono nata in un contesto di cortile dove eravamo tutti parenti, tutti contadini e tessitori, e si usava parlare solo in bustocco». È per questo che Crespi sostiene di comprendere molto bene il dialetto , anche se, quando si tratta di parlarlo, alza bandiera bianca. E se «alcuni miei coetanei, per lo più maschi, ogni tanto se ne escono con delle frasi in dialetto e lo parlano abbastanza bene», Elisabetta osserva che per lei la padronanza del bustocco non è mai stata una vera priorità: «Non ho mai avuto l’interesse a impararlo», confessa con un filo di rimpianto, collegando la sua scelta a un atteggiamento diffuso tra molte ragazze della sua generazione. Come se, agli sgoccioli del XX secolo, per una giovane donna abbandonare il dialetto fosse anche un modo per lasciarsi alle spalle una cultura rurale superata.
E invece c’è chi del dialetto bustocco fa un punto di orgoglio. Riccardo Gallazzi, 33 anni, porta avanti certe parole ed espressioni come fossero medaglie di famiglia. La stirpe dei Gallazzi, secondo la genealogia familiare, sarebbe legata a Busto Arsizio dal remoto 1680. E tuttavia, anche per un bustocco doc del suo calibro, il tempo può giocare brutti scherzi: «Io il dialetto lo sentivo sempre parlare dai nonni» racconta Riccardo, ma adesso che «è da tanto che sono venuti a mancare», anche la sua competenza dialettofona risulta «un po’ arrugginita».
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