LA CRISI
È una strage di bar
Venti messi in vendita. Altri hanno chiuso o si sono trasformati

È una città che cambia, nelle proposte e anche nelle abitudini, non solo per colpa del coronavirus. Il fenomeno nuovo, che in quest’ultimo periodo si sta accentuando numericamente, riguarda la moria di bar e pub.
Ne erano nati tanti a Busto negli ultimi anni, sia in centro che in periferia, per soddisfare una richiesta di mercato effettiva in un luogo che non era mai stato particolarmente tendente alla movida e che la stava però gradualmente scoprendo.
Ma ora, con gli effetti delle chiusure e le limitazioni alla socialità, sono proprio queste attività le prime ad abbandonare la scena in massa.
In questo momento, sui principali portali dedicati alle vendite di negozi, sono oltre venti gli esercizi di questo genere che cercano un nuovo padrone. Qualcuno ha già chiuso, altri tirano a campare nella speranza che compaia presto un investitore interessato a subentrare. E infatti, specie in periferia, di cartelli con la scritta “nuova gestione” se ne vedono già alcuni.
In ogni caso Busto si costella di storie di baristi che hanno dovuto gettare la spugna. Anche in centro, dove le attività storiche non mollano ma le altre hanno faticato a farsi spazio.
In piazza Garibaldi un bar ha aperto e chiuso nel giro di un anno. Un altro è in vendita in via Cardinal Tosi, mentre lo stesso sta accadendo per due realtà del rione San Michele. Pure in piazza Garibaldi, nella sua galleria verso corso 20 Settembre, un tentativo è andato a vuoto nel giro di pochissimi mesi. E pure nei rioni più decentrati la crisi del settore si sente e ci sono cartelli di cessione appesi in via Magenta, in viale Boccaccio, a Madonna Regina, così come nella popolosa Sant’Edoardo. Vale lo stesso a Sant’Anna e in zona ospedale.
Si diceva che la situazione riguarda non solo i semplici posti in cui ci si fermava a bere un caffè, a leggere il giornale, a chiacchierare e a giocare a carte, i quali comunque restano le vittime principali di questa situazione. Anche i pub sono in enorme sofferenza: si prenda il caso della birreria di via Mazzini che ha smontato le insegne già durante il primo lockdown. Ma adesso sta succedendo la stessa cosa anche in un altro locale non distante dai Molini Marzoli.
Chi rileva e riapre lo fa quasi sempre proponendosi più con la cucina che con il semplice servizio bar. Perché quella, purtroppo, è una formula commerciale che versa nel massimo affanno e che sta puntellando strade e piazze bustocche di saracinesche abbassate.
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