IL PERSONAGGIO
A Varese il vero Volonté
“L’uomo dai mille volti” al Miv. Nel documentario sul grande attore tanti i riferimenti locali: dal padre di Saronno alla scena a Malnate di “Banditi a Milano”

Suo padre era di Saronno, lui ha girato un film a Malnate, tenuto un comizio a Belforte e tra le persone che l’hanno conosciuto meglio c’è un’attrice di Besano. Esistono tracce varesine anche nel percorso di Gian Maria Volonté. Non male se si considera che per molti resta il migliore attore di sempre del cinema italiano. Chi lo ritiene tale non mette in discussione la bravura dei moschettieri della commedia all’italiana - Gassman, Manfredi, Sordi e Tognazzi - ma sottolinea come, rispetto a loro, sia stato meno incline alla maschera comica e più attento a personaggi e persone che portava sullo schermo.
Elemento ben evidenziato da Volonté - L’uomo dai mille volti, documentario in programmazione martedì 24 e mercoledì 25 settembre, alle 20.40, al Miv. Diretto da Francesco Zippel, autore di Sergio Leone - L’Italiano che inventò l’America, ricorda le tappe più significative di vita e carriera dell’attore morto nel 1994 sul set di Lo sguardo di Ulisse.
Accanto alla testimonianza della figlia Giovanna Gravina Volontè (la madre è Carla Gravina, grande attrice, applaudita, tra l’altro proprio sul palco dell’Impero in La locandiera nel 1986) c’è quella di Marco Bellocchio. Diversi gli interventi, da Fabrizio Gifuni a Pierfrancesco Favino, che paragona Volonté a Caravaggio per la sua modernità, da Valeria Golino a Valerio Mastandrea. Non pochi i filmati inediti.
Nato a Milano nel 1933, l’attore era figlio di Carolina Bianchi, appartenente a una famiglia di industriali, e di Mario, saronnese, militare fascista, comandante della Brigata nera di Chivasso, condannato, dopo la guerra, a 30 anni di carcere per crimini ordinati e commessi durante i rastrellamenti.
Gian Maria sceglierà presto di stare dall’altra parte. Comunista sin dagli anni Cinquanta, prima che, per dirla con Giorgio Gaber, il cinema lo chiedesse. Ed è da iscritto al PCI che, in occasione della campagna elettorale del 1968, fece un appassionato intervento al Circolo di Belforte. Lo stesso anno al cinema uscì Banditi a Milano. Diretto da Carlo Lizzani, ispirato alla banda Cavallero e in particolare alla rapina in una banca finita nel sangue perché, per costringere la polizia a non inseguirli i quattro spararono a caso sulla gente in strada, provocando tre morti.
Era il 25 settembre 1967, Pietro Cavallero e Sante Notarnicola vennero arrestati il 3 ottobre in un casello ferroviario dell’Alessandrino. Nella finzione a chi li impersonava, Volontè e Don Backy, le manette furono messe tra i campi di Malnate, con tanto di inquadratura del Ponte di Ferro. Più conosciuto, e più trasmesso in tv, anche per il titolo è La classe operaia va in paradiso, di Elio Petri, del 1972. Volontè interpreta, in modo straordinario, l’operaio Lulù che, come i colleghi, è sensibile al fascino della collega Adalgisa. Ruolo affidato a Mietta Albertini, besanese, allora al Piccolo Teatro, che ricorda serietà e gentilezza del mattatore.
«Quando», spiega, «anni dopo, chiamata a organizzare una serie di incontri all’Anteo di Milano sui mestieri del cinema, feci il suo nome, tutti mi invitarono a lasciar perdere perché, da uomo schivo e dal carattere giudicato difficile, non avrebbe mai accettato. Invece disse «Sì, perchè me lo chiedi tu» e ci regalò una serata indimenticabile. Trattandomi alla pari, lui che era già un mito. Mai fidarsi dei giudizi negativi sui grandi. Mi misero in guardia anche delle asprezze di Eduardo De Filippo. Ho avuto l’onore di intervistarlo, fu dolcissimo».
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