L’INTERVISTA
Alessandro Fermi, risorse e qualità per il sistema universitario
L’assessore regionale: «Pronti altri 25 milioni. Varese e Como sono diverse e si completano: l’Insubria ha creato sinergie tra i due territori»

A Varese università significa Insubria. Ma Insubria è anche l’ateneo di Como. Un’università condivisa da due città da sempre rivali. «Ma quale rivalità tra Varese e Como... e poi io sono un po’ comasca, ho sposato un comasco e lì ho vissuto per 25 anni, oltre ad avere insegnato anche a Como e non solo sempre a Varese», ha tagliato corto, parlando con Prealpina, la neorettrice Maria Pierro.
Alessandro Fermi, assessore regionale (in quota Lega) all’Università, Ricerca e Innovazione, 49 anni, avvocato comasco, lei che ne pensa di questa annosa querelle?
«Premesso che un po’ di campanilismo ci sta e può essere anche legittimo, credo che l’Università Insubria sia una delle istituzioni che, al di là delle polemiche tra chi dice che propende più per Varese che non Como e viceversa, è riuscita a riunire e creare sinergie tra i due territori. Secondo me, Varese e Como hanno caratteristiche diverse e si completano a vicenda. La mia sensazione che l’Insubria abbia sempre di più un forte radicamento tra gli studenti della fascia prealpina. Indubbiamente, l’Insubria varesina è decisamente una grande realtà con il fiore all’occhiello del campus. Ecco, Como deve fare un passo avanti sia sul tema delle residenze sia su quello della creazione del campus. E anche la città lariana deve fare la sua parte. Negli ultimi dieci anni Como è diventata una meta turistica internazionale molto importante, perché non utilizzare questa sua riconoscibilità per far crescere il suo ateneo e attrarre nuovi studenti, magari anche dall’estero?».
Politecnico, Statale, Bicocca e Cattolica di Milano, l’ateneo varesino-comasco e ora anche la Liuc di Castellanza. Quantomeno in Lombardia le donne hanno conquistato la guida di molte università...
«Abbiamo assistito a un’onda travolgente di quote rose nel mondo universitario lombardo. È un segnale positivo e ne sono naturalmente contento, anche se non ne farei una questione di genere, ma di qualità delle persone».
I suoi rapporti con il mondo degli atenei?
«Sono costanti e proficui, tanto è vero che partecipo con regolarità alle riunioni dei rettori del Comitato regionale di coordinamento delle università lombarde. Per quel che mi riguarda, non faccio differenze tra università pubbliche e private e, come giunta, cerchiamo di dare un contributo a migliorarne la qualità. Di recente abbiamo proposto di agganciare 50/60 milioni del Pnrr per migliorare laboratori, istituti di ricerca e strumentazione tecnologiche in un’ottica di sempre maggiore attrattività del sistema universitario lombardo. Deliberata dalla giunta a fine di maggio come manifestazione di interesse a questa proposta, tra fine 2024 e inizio 2025 presenteremo il bando per favorire progetti diretti a continuare ammodernamento dei nostri atenei e favorire contestualmente l’accessibilità di tutta la strumentazione anche alle Pmi con il chiaro intento di favorire il collegamento con le imprese dei nostri territori».
Come ha ribadito nei giorni scorsi la rettrice del Politecnico Donatella Sciuto, il tema è garantire a ragazze e ragazzi la possibilità di studiare, poiché le condizioni economiche delle famiglie non migliorano. Il rischio è che fra due persone con lo stesso diritto una abbia la borsa di studio e l’altra no...
«È un tema complicato. In linea teorica, le parole della rettrice sono condivisibili, ma alla prova dei fatti non sono sostenibili dal punto di vista economico. Attingendo ai fondi del Pnrr ci sono state risorse per aumentare sia la platea dei beneficiari delle borse di studio sia il valore economico di ogni singola borsa. Il problema che pongo è: chi ci metterà i soldi una volta finito il Pnrr? Ciò detto, negli ultimi due anni, pur con difficoltà, siamo riusciti ad aumentare la quantità risorse per il 100% delle borse. Di più, una recentissima delibera di giunta va ad incrementare per l’anno accademico 2024/2025 rispettivamente di 360 e di 150 euro in più l’importo medio delle borse di studio per studenti fuori sede e pendolari. Inoltre, abbiamo rivisto, aumentandoli, i limiti reddituali per l’accesso ai benefici: l’Isee è salito ad oltre 26 mila euro. Con l’assestamento di luglio abbiamo messo quasi 25 milioni in più per il sistema universitario lombardo, anche se non basta. Il vero tema è che nessuno tiene conto delle peculiarità della Lombardia: quasi il 34% di chi frequenta i nostri atenei viene da fuori regione e l’8% dall’estero. Per questo abbiamo chiesto alla ministra Annamaria Bernini di rivedere i criteri di ripartizione del Fondo integrativo statale previsto per il diritto allo studio e l’innovazione, la ricerca e la competitività che al momento non sono per niente equilibrati».
Lei crede che l’autonomia differenziata applicata alle università possa giovare agli atenei lombardi?
«Ne sono convinto. Per questo, assieme agli atenei, sollecito la definizione entro due anni dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, ndr) nazionali e la conseguente revisione dei criteri nazionali di riparto dei fondi. Revisione che tenga conto dell’attrattività del sistema universitario e dei livelli e della dimensione dei servizi erogati. Una volta che Roma avrà individuato i Lep per le università della nostra regione ci saranno più risorse di quelle che arrivano oggi».
Più fuori sede significa più case per gli studenti. La protesta delle tende dell’anno scorso ha portato all’attenzione di tutti un problema molto serio...
«Come Regione abbiamo fatto proprio questo tema. Abbiamo co-finanziato interventi per il campus del Politecnico e della Statale di Milano con 6 mila nuovi alloggi per studenti. E poi c’è il progetto collegato al Pnrr che punta a mettere a disposizioni altri 21 mila alloggi per studenti tra nuovi immobili e ristrutturazioni di varie. Per ora il bando del Ministero va a rilento, ma speriamo in un cambio di marcia».
Cosa le chiedono? E dove si può migliorare?
«La richiesta più frequente e trasversale è sempre la stessa: investire nell’ammodernamento tecnologico di laboratori e centri di ricerca e della strumentazione da mettere a disposizione. Spesso dietro la fuga all’estero dei nostri studenti c’è anche il fatto che i nostri atenei non sono adeguati alle loro aspettative. Altro tema, che mi sta a cuore, è investire in maniera importante per tenere il più viva possibile l’attrattività delle università di provincia. Milano a parte, vorrei un sistema universitario diffuso e di qualità che eviti a tanti ragazzi di doversi spostare per andare a studiare».
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