A TEATRO
Andrea Delogu: «Metto in scena la mia vita»

Alla sua età Nanni Moretti si definiva «uno splendido quarantenne», lei preferisce presentarsi come «una donna che si sente ragazza». Lei è Andrea Delogu, conduttrice tv e radio, attrice e scrittrice, protagonista assoluta di 40 e sto. Nato da un’idea sua e di Rossella Rizzi, il recital teatrale, scritto da entrambe con Alberto Caviglia e Giovanna Salvatori, per la regia di Enrico Zaccheo, ci tocca molto da vicino. A marzo tre le date - sempre alle 21 nel nostro territorio: ieri sera il debutto al Manzoni di Busto Arsizio, il 24 al Tirinnanzi di Legnano e il 25 al Condominio-Gassman di Gallarate. Non male.
In radio e in tv si è abituati a sentirla o a vederla condividere la conduzione, qui è in splendida solitudine. Che cosa cambia?
«Tanto per iniziare, che, se sbaglio, non posso che prendermela con me stessa. Non ho saputo resistere alla tentazione di fare qualcosa di nuovo. Partendo da me, mi è sembrato inevitabile salire sul palco con il sostegno di una squadra alle spalle ma da sola».
Un recital autobiografico?
«Fortemente, anche se ho piena consapevolezza di non essere la sola donna a pormi un certo tipo di domande una volta arrivata a quota quaranta. Nel film, Caro diario, in cui si definiva splendido, Moretti considerava quel compleanno il giro di boa. Lo affronto con spirito leggero, puntando a divertire ma non nascondo che il raggiungimento di questo traguardo comporti qualche riflessione. Compresa quella di essere in una società che ti vuole madre a tutti costi. E comunque, sì, metto in scena la mia vita».
In parte già svelata durante le trasmissioni radiofoniche o i libri, in particolare La collina e Dove finiscono le parole. Luci e ombre, non ha paura a rendere pubbliche le sue fragilità?
«No, io sono figlia di questa storia o di queste storie. Alcune indipendenti da me, altre no. Rivendico il diritto di sbagliare e quello di riconoscere i propri errori. In quanto alle fragilità, reali o attribuite da altri, quando ricevo, e non capita di rado, ringraziamenti da parte di madri per quanto da me detto sulla dislessia, mi sento ogni volta più forte».
Pensieri e parole ma anche musica. Dettata da quel tatuaggio sulla spalla sinistra?
«Certo. Spiego anche la genesi di quel tatuaggio. Dancing in the dark resta una delle canzoni che amo di più, il testo naturalmente è di Bruce Springsteen ma la scritta poi trasformata in tatuaggio è opera di mia mamma. Non lo cancellerò mai, andrò a vedere il Boss anche in questo nuovo tour italiano. Nello spettacolo però parlo anche di Max Pezzali».
Springsteen-Pezzali, accostamento ardito.
«Musicalmente sono onnivora e nella colonna sonora della mia vita ci sono anche le canzoni di Max Pezzali. Non credo di costituire un’eccezione. Vero che in 40 e sto ricordo la mia esistenza incasinata, ma penso che tante persone possano riconoscersi almeno in qualche ritaglio del mio diario di bordo. Sfoglio un album popolato da viaggi, traslochi, supermercati per single, social, auto, fogli di giornali e libri».
In letteratura ha un punto di riferimento autorevole come Bruce per la musica?
«Difficile fare paralleli di questo tipo ma direi Stephen King. Il mio scrittore preferito è però Thomas Holden, peccato che non tutti i suoi romanzi di fantascienza siano tradotti in italiano».
Legata ai generi, un debito verso il suo Stracult?
«Era un programma che amavo e la sua cancellazione rimane per me qualcosa di più di un graffio. Marco Giusti mi ha insegnato molto. Anche a ridere».
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