TORNATA A CASA
«Ho lottato e vinto»
Il racconto di Anna Comolli dopo il coronavirus

«Stamattina è venuta fuori la massaia che c’è in me: ho fatto la lavatrice e ho disfatto i bagagli, come quando si torna da una vacanza, solo che in questo caso...».
Sette giorni in ospedale, la prima paziente guarita dal coronavirus è tornata a casa. Non nella sua, deve ancora stare qualche giorno sotto controllo, ma in quella dei genitori, che sono a loro volta ancora ricoverati all’ospedale di Circolo.
Anna Comolli è una donna di 50 anni che ha deciso di raccontare questa battaglia vinta «perché è giusto dare speranza, dire a tutti che ce la si può fare».
Come sta?
«Fisicamente direi bene. Mi considero guarita, emotivamente è difficile spiegare».
Una testimonianza doppiamente significativa, la sua, perché i suoi genitori e altri componenti della sua famiglia sono ancora malati, ancora ricoverati.
«Questa vicenda si è abbattuta in modo incredibile sulla mia famiglia. Ho deciso di raccontare quanto è accaduto perché può capitare a tutti, perché non bisogna vergognarsi, perché non bisogna avere paura».
Anna è figlia del «paziente uno» della Valceresio e dopo avere curato lui e la mamma, prima che finissero in ospedale, ha capito ben presto di essere stata contagiata: malessere, febbre che non se ne andava. «Arrivata a 39,5, nulla che la facesse scendere, alla fine sono stata trasportata dal 112 in ospedale».
Come ha reagito quando ha saputo che il tampone era positivo?
«Me la aspettavo, tutto sommato. Si reagisce come si è dentro, ognuno a modo suo, io ho cercato di non abbattermi e anzi ho continuato a rimanere in contatto con mio marito, mia figlia e mio figlio, è stato fondamentale, mi hanno dato forza e l’ho trasmessa anche a loro».
Ha potuto vedere i suoi genitori?
«Sì, li ho potuti salutare, ero bardata come un’astronauta, ho potuto sussurrare loro parole di incoraggiamento e parlare dei loro affetti, è stato importante, credo, per loro e anche per me».
Dove è stata ricoverata?
«Dopo un passaggio al Pronto soccorso, sempre agli Infettivi, dove ho trovato medici e infermieri e tutto il personale di una umanità e di una serenità, in quelle condizioni, unici. Ed è importante avere attorno persone che sanno curare e e nel contempo infondono fiducia».
Lei come se l’è data, la speranza?
«Ho avuto la fortuna di non avere mai avuto problemi respiratori, ho avuto una polmonite, questo sì, ma ne sono venuta fuori. Poi mi sono fatata portare i miei vestiti, non dico come se avessi dovuto andare a lavorare, sono una impiegata amministrativa, ma quasi. Ho cercato di darmi regole quotidiane e una certa normalità».
Ha mantenuto i contatti con la sua famiglia e gli amici?
«Ho usato cellulare e computer in continuazione. In situazioni come queste capisci quanto la tecnologia sia essenziale… sono stata in contatto con famiglia e amici e in tutto questo periodo ho avuto un gran supporto dal mio medico di famiglia Aurelio Sessa e dal sindaco di Arcisate».
Gianluca Cavalluzzi, il sindaco, è venuto a prenderla venerdì sera, quando è stata dimessa.
«Certo, anch’egli bardato, mi ha portato a casa dei miei genitori e questa mattina (ieri, sabato 14 marzo ndr) mi ha portato anche due sacchetti con la spesa».
Che cosa cucinerà oggi?
«Ravioli, mi sono raccomandata con spinaci e ricotta, quelli con la carne non mi piacciono».
Non deve essere stato facile quando ha messo piede in casa dei suoi genitori, con loro in ospedale.
«Certo che no. Mi sono detta: devo reagire. Ho tolto camice, sovrascarpe e mascherina e tutto quello che mi avevano fatto indossare per uscire dall’ospedale, ho messo tutto in un sacchetto e ho buttato via tutto. Poi ho tirato fuori le lenzuola pulite e mi sono fatta il letto di fresco. La casa dei miei genitori era stata naturalmente sanificata giorni fa».
Come passava il tempo in ospedale?
«Mai acceso la tivù, non per fare lo struzzo, ma per evitare altre angosce. Ho guardato una gran quantità di film. E sono stata vicino alla persona che hanno messo in camera con me, una signora con la quale ho stretto una bella amicizia. In certe condizioni scattano solidarietà importanti».
Nemmeno per un momento ha vacillato?
«Sì, quando mi hanno ventilato l’ipotesi del ricovero a Baggio, quando stavo guarendo. L’idea di andare lontano da tutti, per la convalescenza, mi angosciava. Poi è spuntata l’ipotesi di Cuasso, più vicino, fino a quando ho avuto l’idea della casa dei miei, accolta dai medici... E ora sono qui».
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