ARCUMEGGIA
Nel borgo scolorito
Il paese dipinto oggi è deserto. Idee per il rilancio

ra queste case di pietra Remo Brindisi strinse la mano a Marcello Mastroianni, in uno di questi cortili Toni Dallara e Giovanni Danzi si confermarono “pittori della canzone” esponendo insieme ad altre star anni Sessanta; sotto questi porticati Guido Piovene intervenne all’inaugurazione della personale di Renato Guttuso.
E lassù, proprio in cima al paese, la gente del posto con entusiasmo si adoperò per realizzare un luogo in cui fare incontrare l’arte e la vita, convinta che la pittura strappata alle nicchie di studi e atenei e immersa fra la gente, con l’antica tecnica dell’affresco, potesse frenare povertà, emigrazione, spopolamento.
Vive di ricordi, oggi, uno dei primi borghi dipinti d’Italia, suggestivo museo en plein air fra boschi di querce e castagni alle pendici del monte San Michele, fra la Valcuvia e la Valtravaglia. Da anni ormai nessun pittore di fama lavora sui muri del paese (l’ultimo è stato Antonio Pedretti nel 2001).
Da anni si è spento il fervore che portò quassù a imparare le tecniche dell’affresco gli allievi dell’Accademia di Brera e gli studenti del liceo artistico di Varese; che creò convegni sul futuro del turismo montano. Oggi, gli affreschi che il gotha artistico della seconda metà del secolo scorso ha incastonato fra le pietre e gli intonaci sbrecciati, per raccontare il mondo contadino, le sue speranze, i suoi dolori, la sua fede, sono testimonianze del passato.
E si nutrono della stessa malinconia che illumina le targhe commemorative di chi, come Manlio Raffo e Mario Beretta, osò sognare un futuro in cui la cultura e l’impegno civile potessero contrastare il declino economico di un territorio.
Entriamo in paese nel primo pomeriggio dell’ultima domenica di luglio, dopo aver superato indenni una quindicina di stretti tornanti che da Casalzuigno portano a circa seicento metri di quota. E subito sorprende il silenzio. Porte sbarrate, cancelli chiusi, erba incolta. I turisti, per lo più stranieri, si contano sulle dita delle mani.
All’ufficio turistico, nel consegnare brochure e audioguida, confermano: in estate, periodo di massima affluenza, i visitatori non superano la quarantina al giorno nei week end. Non ci sono negozi, nemmeno un bagno pubblico. «Per fortuna ci siamo noi – sorride Alfonso Bonfanti, che da sette anni tiene aperta la Locanda del Pittore, unico punto di riferimento e di ristoro per turisti e residenti - ma non so quanto potremo resistere in queste condizioni. Mancano iniziative per rilanciare il luogo. Le idee ci sarebbero, non la possibilità di realizzarle».
E’ sconfortato Bonfanti. La sua locanda vanta una terrazza con vista mozzafiato, ma sono pochi a goderne. E all’ottanta per cento stranieri. «I nostri ospiti ci dicono che in Svizzera o in Francia un luogo come questo sarebbe zeppo di gente e di eventi. Dovremmo pensare ai giovani, alle famiglie, saper rendere prezioso questo luogo magico dove il tempo pare essersi fermato. Qui nessuno vuole gettare la spugna».
Arcumeggia oggi conta 58 anime cui si devono aggiungere i proprietari di seconde case. Di recente sono arrivate due famiglie giovani, confida il barista Mauro Rorato. E questa, per chi abita qui, è una speranza. Come il fatto che nel parchetto si senta il vociare di una decina di ragazzi, all’ombra dei castagni gli anziani giochino a carte, i balconi delle case abitate siano zeppi di fiori.
Il piccolo paese baciato dal sole e dai colori sorride, insomma, alla vita. «Arcumeggia - scriveva nel 1967 Piero Chiara, grande fan del borgo- è non solo un ritorno e una ripresa della tradizione artistica lombarda, ma anche la celebrazione del popolo delle Prealpi, per secoli operoso in ogni parte d’Europa».
Ecco perché la gente non ha dubbi: il declino va fermato.
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