SFIDA CON ROMA
Fontana: «Senza autonomia la Lombardia soffre»
Il governatore: è giusto che ogni Regione faccia le scelte più opportune, diverse dal resto d’Italia. Le vaccinazioni negate (da Roma)

«Impugneranno la delibera, non ci daranno pace, facciano pure quello che vogliono ma io vado avanti: Regione Lombardia farà partire la campagna vaccinale contro il virus sinciziale, sempre più diffuso fra neonati e bambini, che Roma lo voglia o no. È assurdo dover fare un atto di ribellione per attuare un servizio che è semplicemente un diritto per i cittadini e un dovere per chi amministra». Cronaca di una guerra annunciata fra (gli uffici di) Palazzo Lombardia e Palazzo Chigi. Il governatore Attilio Fontana annuncia l’avvio delle ostilità con il proverbiale aplomb durante un incontro organizzato dal Rotary Club Varese, di cui è socio, citando l’imminente decisione (lunedì porterà la delibera in Giunta regionale) come esempio fra le tante che la Lombardia potrebbe prendere e non può perché il Governo - qualunque esso sia - frena, non vuole, temporeggia.
CAMPAGNA VACCINALE
Nel caso di specie, viene svelato il retroscena. «L’anno scorso», racconta il presidente della Regione, «a causa del virus sono morti tre bambini, i Pronto soccorso sono sempre più sovraffollati e fra i genitori si sta diffondendo il panico. Allora abbiamo deciso: noi in Lombardia partiamo con le vaccinazioni, dato che abbiamo le risorse. La risposta da Roma è stata no. Perché questi vaccini non sono ancora entrati nei Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr), come categoria di farmaci riconosciuti e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale». Con i dovuti distinguo, quella del varesino Fontana sembra una riedizione dello storico refrain leghista sulle note “virtù” romane: ad ascoltare le sue riflessioni a proposito della legge sull’autonomia differenziata, tema centrale dell’incontro svoltosi a Luvinate, ben poco in termini di efficienza burocratica è cambiato dai ruggenti anni ‘80.
DECIDE ROMA
Per esempio. «Spiegatemi per quale motivo», ha incalzato il governatore, «ogni volta che accade un disastro climatico, come quelli che si verificano con sempre maggiore frequenza sui nostri territori, per dichiarare lo stato di calamità naturale dobbiamo chiedere l’autorizzazione a Roma. Dopo un po’ arrivano i tecnici a vedere la situazione e stabilire se ci sono le condizioni, quindi tornano a Roma, scrivono la loro relazione, poi si riunisce il Consiglio dei Ministri e dopo quattro/sei mesi arriva finalmente il provvedimento con il sì o il no allo stato di calamità. Mentre noi lo potremmo decidere un’ora dopo essere andati sul posto. Se Volete, potrei andare avanti tutta la sera a farvi esempi di questo genere...». Esempi utili a dimostrare perché quest’autonomia differenziata alla Lombardia, la regione italiana con il Pil più alto per gli investimenti stranieri, servirebbe come l’ossigeno.
LOMBARDIA FRENATA
«La Lombardia deve correre con le braccia legate dietro la schiena», esemplifica Fontana, convinto anche che «al resto d’Italia dia un po’ fastidio che la Lombardia vada così bene. Dimenticandosi però di quei 54 miliardi che ogni anno la regione lascia di residuo fiscale a Roma: se non ci fossero, forse il Paese sarebbe già fallito. O di quel 42% che viene versato nel fondo di solidarietà. O del fatto che la Regione Lombardia costa 3.300 euro all’anno per cittadino contro la media nazionale di 4.600. Il che vuol dire: 13 miliardi risparmiati grazie alla nostra efficienza. Ma noi non vogliamo vantaggi: chiediamo solo norme snelle che ci consentano di competere con il resto del mondo». Dunque, con l’autonomia differenziata non ci sarebbero figli e figliastri? «Sono assolutamente convinto», risponde Fontana, «che tutte le Regioni possano fare le scelte più opportune per il proprio territorio, scelte che non devono necessariamente essere le stesse in tutto il Paese. Chi parla di secessione dei ricchi rispetto ai poveri racconta bugie, anche perché non si è obbligati a chiedere l’autonomia, è una possibilità. Ma secondo me è una delle ultime opportunità che noi abbiamo per rendere questo Stato più moderno». Inevitabilmente il discorso vira fortemente verso temi sanitari (ma prima, sollecitato dal giornalista Gianni Spartà, Fontana aveva detto la sua sul generale Vannacci: «Un militare non può essere autonomista, a Salvini ho detto di essere preoccupato che il suo messaggio venga confuso con quello della Lega»), raccontando sia della campagna vaccinale negata e poi di quel 2014 in cui il governo di Matteo Renzi stabilì con la legge finanziaria che il costo dei dipendenti del servizio sanitario dovesse essere pari a quello del 2004 ridotto del 14%.
QUALI INCENTIVI IN SANITÀ
«Non si potevamo più assumere medici né infermieri, pur avendo le risorse. Il che poteva avere una sua logica alla luce delle cifre inaccettabili spese da alcune regioni». Non che sia cambiato granché, vista la carenza e la fuga di medici e infermieri verso la Svizzera, dove pagano di più: «Non solo le Aziende Ospedaliere ma neanche la Regione ha autonomia per incentivarli», ha sottolineato il governatore lombardo, pur glissando sul caso delle recenti dimissioni di quattro chirurghi della mano all’ospedale di Circolo di Varese («Non è una questione di soldi...»). «Certo c’è il problema della Svizzera, ma non dimentichiamo alcune Valli nella Bergamasca o nel Bresciano», ha concluso Fontana, «dove è difficile trovare un medico disposto a fare chilometri in montagna fra una frazione e l’altra. Quali stimoli economici possiamo offrire a questi giovani? Zero. Non possiamo». Cioè, decide Roma.
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