L’APPELLO
Bambina legata e abusata? Assolto il padre
I giudici: «Il fatto non sussiste»

«Per il mio assistito questi ultimi dieci anni sono stati un inferno. Chi era a conoscenza del processo che lo riguardava e lo incontrava per strada, lo insultava dandogli del pedofilo. Alcuni lo hanno pure picchiato. Ora si scopre che quella voce alimentata da alcuni vicini di casa tramite una confessione a un sacerdote, poi diventata un’accusa e infine sfociata in processo, era infondata».
Questo il commento a caldo dell’avvocato Maurizio Domanico, subito dopo aver appreso che la sentenza della prima Corte d’Appello di Milano ha mandato assolto un cinquantacinquenne varesino che viveva in una delle case popolari nel quartiere delle Bustecche dalle terribili e aberranti accuse di concorso in sequestro di persona e di violenza sessuale di gruppo nei confronti della figlia quando questa aveva tra i 6 e i 10 anni.
CONDANNATO IN PRIMO GRADO
Imputazioni che, assieme a quelle di lesioni e maltrattamenti nei confronti dell’ormai ex moglie, gli erano costate una maxi-condanna a 16 anni di reclusione.
A firmarla il Tribunale di Varese al termine di centinaia di ore di udienza, una girandola di giudici sostituiti, una parziale rinnovazione istruttoria e decine di testimoni sentiti in aula.
ASSOLTI ANCHE I TRE AMICI
Azzerate anche le condanne (per un totale di 35 anni di pena complessiva) inflitte in primo grado a carico di tre amici che frequentavano la casa del padre della bambina, difesi dagli avvocati Marco Mainetti, Michele Lodi e Rossella Crispina. Amici che, almeno stando al racconto della presunta vittima (che ha vissuto in una casa-famiglia fino a 17 anni e che ora è maggiorenne), l’avrebbero costretta a subire a più riprese svariati abusi sessuali dopo averla legata a un letto, bendata e imbavagliata con uno scotch e poi minacciata di pesanti ritorsioni qualora avesse riferito l’accaduto alla madre.
«IL FATTO NON SUSSISTE»
Ricordato che le motivazioni non saranno depositate se non prima di 90 giorni, la Corte ha assolto i quattro imputati dalla violenza sessuale di gruppo e dal sequestro di persona con formula piena («perché il fatto non sussiste»), mentre per quanto riguarda i reati di lesioni e maltrattamenti contestati al solo marito nei confronti dell’ex coniuge sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione. Prescrizione che tuttavia non ha cancellato le statuizioni civili stabilite in primo grado: l’imputato dovrà infatti risarcire con 7mila euro l’ex moglie, nonché pagare le spese processuali sostenute.
La stessa Corte d’Appello ha inoltre provveduto a revocare tutte le pene accessorie (tra cui l’interdizione alla responsabilità genitoriale) e le misure di sicurezza.
Che cosa ha convinto i giudici d’appello a compiere una così decisa inversione a “U” rispetto alla sentenza di primo grado? «Diciamo che l’accusa era incerta sin dall’inizio. Il primo sostituto che se n’era occupato aveva chiesto l’archiviazione», prova a dare una risposta l’avvocato Domanico. «Altri elementi di criticità: ancora oggi non si sa quando e dove sarebbero avvenute le presunte violenze sessuali e la deposizione della bambina in sede di incidente probatorio è stata falsata dal fatto che è stata sentita più volte senza rispettare le indicazioni del protocollo di Noto che regolamenta le audizioni delle minori vittime di abusi. Tra l’altro, nella mente di una bambina di sei anni la differenza tra vero e falso è spesso molto sfumata».
A fargli eco l’avvocato Marco Mainetti, difensore di un cinquantasettenne di Travedona Monate: «Nel nostro caso c’era incertezza sull’individuazione fotografica e sull’accuratezza della ricognizione uditiva da parte della bambina. In più, una perizia ginecologica ha dato esito negativo».
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