TESTIMONI
Barbara Colombo: «L’economia vive anche di fiducia»
Il Ceo della Ficep di Gazzada Schianno racconta le reazioni del mercato: «Molti clienti stanno sospendendo gli investimenti»

L’economia non è solo questione di cifre, percentuali e dati certi: «Ha a che fare anche con la fiducia, con la percezione». Lo ha ribadito nel suo appassionato intervento all’Economix Workshop di Prealpina Barbara Colombo, Ceo della Ficep di Gazzada Schianno, il più grande produttore al mondo di impianti automatici per la lavorazione dell’acciaio e uno dei più importanti produttori di macchinari per il settore della forgiatura e stampaggio. Fondata dalle famiglie Colombo e Giuliani nel 1930, conta oggi 16 filiali nel mondo oltre alla sede centrale di 100mila metri quadrati. Ficep Spa nel 2024 ha numeri importanti: un fatturato di 160 milioni di euro con 350 dipendenti, mentre il fatturato consolidato di gruppo è pari a 220 milioni con 600 dipendenti.
«Il tema dazi ha effetti diretti e indiretti - dice l’imprenditrice -, il giorno dopo la firma di Trump per l’introduzione di dazi al 25% sull’import da Canada e Messico, abbiamo ricevuto cinque e-mail da parte di clienti canadesi e messicani che interrompevano trattative milionarie in corso perché non si sentivano di investire in un momento di incertezza, avendo un’elevata quota di export sul mercato americano».
Insomma, come in un effetto domino su scala globale, non dobbiamo solo preoccuparci del filo diretto e univoco fra le aziende del Varesotto e gli Stati Uniti, ma anche della rete infinita di intrecci in una catena mondiale. «Ficep nel 2024 ha esportato circa il 12% negli Usa e il 9% in Canada e Messico - prosegue l’imprenditrice -. Stessi numeri a livello di settore nel 2023: gli Usa hanno acquistato macchine italiane per 567 milioni, con un peso pari al 14,5% del totale esportato, confermandosi il primo mercato di sbocco. Se aggiungiamo le vendite in Canada e Messico, pari a 266 milioni, la quota supera il 21%».
Difficilmente l’America potrà fare a meno del nostro “saper fare”, anche per non indebolire il Paese. «La domanda è: ma perché Trump dovrebbe mettere dazi alle macchine utensili importate dall’Europa? - si chiede Barbara Colombo, che è stata anche presidente nazionale di Ucimu, l’associazione che rappresenta proprio le macchine utensili -. Ricordiamoci che la produzione di beni strumentali in Usa è assolutamente insufficiente a soddisfare la domanda locale, soprattutto in ottica di politica di reindustrializzazione del Paese e che i dazi renderebbero più costosi gli investimenti, importando inflazione.
Gli Stati Uniti sono il primo importatore mondiale di macchine utensili per oltre 7 miliardi di dollari. Di questi il 36% proviene dalla Ue, Germania, Italia, Spagna e Austria, il 26% dal Giappone, il 16% da Corea e Taiwan. Il Governo degli Usa è quindi consapevole di dover comunque importare le macchine che l’industria interna non è in grado di produrre. E noi saremo ancora protagonisti di questo mercato per la fiducia del mondo verso i nostri prodotti: se poi davvero dovessero arrivare questi dazi, pensiamo che i nostri competitor sono soprattutto europei. E quindi ci troveremmo tutti sulla stessa barca, essendo costretti ad alzare i prezzi di vendita delle nostre produzioni per colmare il differenziale, ma tutti insieme, senza dunque ulteriore concorrenza».
© Riproduzione Riservata