BASKET
Una stella in più che illumina i valori
Dodo Colombo nelle parole di Giancarlo Pigionatti

Una stella è caduta, anzi no, perché ora brilla più su, nell’Aldilà eterno. Quaggiù, però, abbiamo perso un caro amico e compagno d’un lungo viaggio, a volte faticoso, altre emozionante, infine gioioso tra i canestri della nostra città.
Come lo era Dodo Colombo, prima giocatore, poi allenatore della Robur et Fides quale fucina di valori che lo ha sempre accompagnato nel suo percorso di vita, pure ai massimi storici sportivi con i Roosters campioni. Sul campo, pur non un gigante, aveva ricoperto il ruolo di pivot, in verità quella era un’altra pallacanestro, in ogni caso, era uno stimato cestista per il suo modo d’essere sotto i tabelloni che potremmo definire da manuale tra tagliafuori, rimbalzi e canestri sotto misura i quali, in sintesi, rappresentavano i fondamentali della pallacanestro nella loro accezione più semplice del termine.
Soprattutto il Dodo era uno grintoso e mai arrendevole, segno di un cuore generoso, dedito al sacrificio per attaccamento ai colori. La Robur fu, come per molti altri giovani, una scuola di vita attraverso insegnamenti di comportamento dentro e fuori del campo: qui egli crebbe come uomo attraverso emozioni e sentimenti legati alle più diverse esperienze, anche ingrate, che ha vissuto da allenatore, peraltro, nell’auspicata e riuscita continuità di quel patrimonio tecnico e morale, creato e lasciato in eredità dallo “specchiato” Gianni Asti.
I fondamentali, come capitoli di una “Bibbia dei canestri”, costituivano, per Colombo, un credo supremo da tramettere ai giovani cestisti, soprattutto, di belle speranze, riuscendo egli, esemplarmente, nella sua paziente e competente opera. Gianni Chiapparo, che fu suo allievo alla Robur, lo volle alla Pallacanestro Varese come assistente allenatore ben sapendo quanto avrebbe potuto offrire attraverso la sua preziosa collaborazione pur in tutta la sua umiltà.
Così era il Dodo che rifuggì dai riflettori anche da capo allenatore, subentrato a Sacco, in una stagione tribolata, preferendo lavorare sodo in palestra che cavalcare la ribalta di una celebrità che, dopo una carriera di servizio, lo avrebbe potuto lusingare ma che non gli apparteneva, fedele - di principio - alla sua coerenza di semplicità dalla quale emergeva la rettitudine dell’uomo mite qual era.
Non fu un caso se un grande come Carlo Recalcati lo stimasse tantissimo , per una “summa” di capacità, affidando alle sue cure Daniel Santiago affinché il pivot portoricano uscisse dal suo grezzo guscio per spiccare il volo come accadde in realtà. Caro Dodo, non dimenticheremo quei valori che testimoniavi seppur in un gioco che, poi, in verità, è la metafora della vita.
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