LA SENTENZA
Besozzo: metodi bruschi, maestra condannata
Tre mesi alla donna. Indennizzo alle quattro famiglie costituite parte civile

È stata condannata a tre mesi di reclusione la maestra di una scuola elementare di Besozzo accusata di aver usato metodi troppo bruschi - dalle urla agli strattoni, con tanto di lividi - per tenere a bada una classe irrequieta. La sentenza è arrivata a quasi otto anni dai presunti abusi e a poche settimane dalla prescrizione del reato, che non cancellerà comunque il diritto al risarcimento del danno, che il giudice del Tribunale di Varese, Luciano Luccarelli ha riconosciuto alle quattro famiglie costituite parte civile con l’avvocato Romana Perin.
L’INDENNIZZO ALLA FAMIGLIE
Indennizzo che dovrà essere pagato dall’insegnante e dal responsabile civile (il Ministero dell’Istruzione); la somma dovrà però essere quantificata da un altro giudice, con una successiva causa, ma nel frattempo è stato ordinato il pagamento di una provvisionale di 1.500 euro a bambino. La sospensione condizionale della pena - concessa alla docente insieme con il beneficio della non menzione della condanna - è subordinata all’effettivo risarcimento entro 30 giorni da quando la sentenza diverrà esecutiva.
I RAGAZZI E L’IDENTIFICAZIONE
Prima di prendere la sua decisione, il giudice varesino ha voluto ascoltare in aula le presunte vittime del comportamento della maestra ritenuta troppo “manesca”, cinque bambini, oggi adolescenti, per chiedere loro se si riconoscessero nelle immagini delle telecamere nascoste dalla Squadra Mobile nella scuola primaria. E nella penultima udienza quasi tutti i ragazzi - mai sentiti prima, né durante le indagini, né nel corso del dibattimento - si sono identificati in quei video. E così ieri è andato in scena l’ultimo atto di un processo iniziato nel 2019, tre anni dopo i fatti, ma che poi ha registrato numerosi rinvii, anche a causa della pandemia.
IL VIDEO
Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna della maestra, una 60enne che continua a insegnare, a cinque mesi di reclusione per il reato di abuso dei mezzi di disciplina (inizialmente fu aperto un fascicolo per maltrattamenti, ma l’accusa è stata poi riqualificata). Istanza condivisa dal legale di parte civile, secondo cui in quei video c’è la conferma della ricostruzione dei bambini e delle famiglie. Video che invece, per il difensore dell’imputata - l’avvocato Gianmarco Beraldo (che ha già preannunciato ricorso in appello) -, non dimostrano gli abusi contestati e «mostrano solo un pezzettino della storia, dimenticando che una parte della classe rimase traumatizzata dall’allontanamento della maestra».
L’EMATOMA
Tutto nacque dalla madre di un bimbo di terza, insospettita da un ematoma trovato sul corpo del figlio. Bimbo che raccontò che l’insegnante «aveva messo a terra» un suo compagno «facendo wrestling». Partirono le indagini e i genitori si divisero: da una parte chi accusava la docente, dall’altra chi raccoglieva le firme per farla tornare nella scuola da cui era stata trasferita.
© Riproduzione Riservata