CASO MACCHI
«Binda stuprò Lidia e poi l’uccise»
Depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato l’imputato all’ergastolo: «Violenza innescata dalla droga»

«L’imputato ha ucciso Lidia per procurarsi l’impunità dal reato di violenza sessuale su di lei commesso». Secondo i giudici della Corte d’Assise di Varese, è questo - «al di là di ogni ragionevole dubbio» - il movente che ha spinto Stefano Binda a uccidere con ventinove coltellate l’amica Lidia Macchi, nei boschi di Sass Pinì, sopra Cittiglio, la notte tra il 5 e i 6 gennaio 1987.
Tre mesi dopo la sentenza di ergastolo pronunciata nell’aula bunker del Tribunale, sono arrivate le motivazioni che hanno spinto i sei giudici popolari, il presidente Orazio Muscato e il giudice estensore Cristina Marzagalli a pronunciare una sentenza che pesa come un macigno sul 51enne di Brebbia, in carcere dal gennaio del 2016 perché considerato l’assassino della studentessa di Casbeno, appunto. Secondo i giudici, la “chiave di lettura” del delitto sta nella «personalità psicotica» di Binda e nei suoi gravi problemi di tossicodipendenza che aveva all’epoca.
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