SUL PALCO
Bora, il vento dell’esodo istriano a Gallarate
La Compagnia dei Gelosi porta in scena al Cuac il libro di Anna Maria Mori e Nelida Milani, entrambe originarie di Pola

L’umanità, la sofferenza, le vite stravolte degli andati e dei rimasti. Senza dimenticare il dolore di un popolo diviso. Sono i temi portanti di Bora. Istria, il vento dell’esilio, libro che racchiude il confronto epistolare tra Anna Maria Mori, giornalista, e Nelida Milani, ex insegnante e linguista. Entrambe originarie di Pola (alla loro nascita parte del Regno d’Italia, oggi in Croazia), la prima abbandonò la città nel secondo dopoguerra, causa l’esodo istriano. La seconda vi rimase, rinunciando alla sua lingua, agli affetti, a consuetudini ormai perdute.
A calarsi nell’opera delle due scrittrici, alle 21 di stasera, venerdì 21 febbraio, al Cuac di via Torino 64 a Gallarate, sarà la Compagnia dei Gelosi. Con Bora, ovvero il vento dell’esilio, verrà data una lettura scenica di vari brani sotto la direzione artistica di Monia Marchiori. E proprio quest’ultima dice: «Il commemorare non può limitarsi a sottolineare che è successa una cosa brutta. Deve guardare al futuro, porsi come tema d’attenzione per non ripetere l’errore». La scelta di portare in scena un testo emotivamente potente, a breve distanza temporale dal Giorno del ricordo, non è stata casuale: «Volevamo affrontare la ricorrenza in modo diverso. Non focalizzarci solo sulla storia del tempo ma rappresentare l’esodo di chiunque sia vittima di una guerra. Vi è lo strazio di popoli sradicati dalle loro terre, un dramma che potrebbe essere raccontato oggi da un palestinese o da un ucraino. Il testo, che affrontiamo sempre con trepidazione, è un inno alla pace: si evince che in guerra non ci sono vincitori ma solo vinti». Il Giorno del ricordo è stato oggetto pure quest’anno di polemiche e divisioni. Vi si smarca Marchiori: «La storia dell’esodo istriano è poco conosciuta e usata ideologicamente. Quando gli esuli arrivarono in Italia, gli unici che li accolsero furono gli esponenti del MSI di Almirante. Inoltre scappavano dalla Jugoslavia comunista di Tito: furono quindi etichettati come fascisti. Verosimilmente nessuno di loro lo era. Non si permise la lettura corretta della storia per questi 350mila disgraziati, obbligati a lasciare le loro terre perché ne veniva cancellata la memoria. La stessa cosa che era stata fatta prima dai fascisti italiani ai croati, cui furono imposti con la forza lingua e costumi». Il testo di Mori e Milani supera i contrasti: «Lo fa parlando di persone vere, riflettendo su libertà e rispetto reciproco. E va ricordato, infine, come una volta che gli italiani furono cacciati, l’Istria si ritrovò senza classe media: rimasero solo i contadini, si ritrovarono in povertà anche i titini».
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