LA SENTENZA
Esplosione a Borsano: due condanne
Otto anni fa il dramma a Borsano con due vittime. L’appello conferma quattro anni senza la condizionale a dipendnti di Agesp

Restano solo in due a dover pagare per la tragica esplosione di Borsano, avvenuta a seguito di una fuga di gas la mattina del 2 dicembre 2009, ormai più di otto anni fa.
Uno scoppio che fece collassare un edificio di due piani in via San Pietro, nel cuore storico del popoloso rione, che costò la vita al trentenne dairaghese Andrea Rosignoli e a Stefania Zhu, diciannovenne di origine cinese.
Dei tre dipendenti della multiservizi Agesp mandati a processo dalla Procura di Busto Arsizio per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, i giudici della quinta Corte d’Appello di Milano (con presidente Benedetto Simi De Burgis) ne hanno assolto uno - l’ormai 71enne operaio - ora in pensione - Giuseppe Venneri (difeso dall’avvocato Dario Celiento) «per non aver commesso il fatto» - mentre hanno confermato le condanne a quattro anni di reclusione (senza riconoscimento delle attenuanti generiche e, dunque, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena) emesse in primo grado dal Tribunale di Busto (presidente Maria Greca Zoncu) sia nei confronti dell’allora delegato responsabile del servizio pronto intervento gas Rosario Perri, 64 anni, sia del tecnico caposquadra Alessandro Virzi, bustocco di 45 anni.
Al verdetto emesso ieri, giovedì 8 febbraio, non erano presenti le parti offese per il semplice fatto che, nel frattempo, complice il risarcimento liquidato da parte di Agesp, hanno ritirato le proprie costituzioni di parte civile. Scontato a questo punto, anche a sentire i difensori - oltre a Celiento, gli avvocati Cristina Caruso e Carlo Alberto Cova - il ricorso in Cassazione.
«Troppi conti non tornano in tutta questa storia», ha commentato Cova, difensore di Virzi.
«È stato un processo fatto, più che da indizi, da mere congetture. La Suprema Corte credo dovrà pronunciarsi sui numerosi travisamenti commessi e sulle evidenti lesioni del diritto della difesa.
È antipatico, lo so, sostenere che dietro l’esplosione ci possa essere stato un atto volontario da parte di chi, poveretto, ha perso la vita nella sciagura, ma a mio avviso non possono non essere esplorati aspetti, come le condizioni psichiche di una delle vittime e le sue eventuali intenzioni suicidarie, a mio giudizio determinanti nella valutazione di quanto accaduto nel suo complesso».
La Corte d’Appello si è presa una sessantina di giorni per motivare la sentenza che mette la croce addosso al caposquadra del pronto intervento gas - chiamato sul posto la sera prima dell’esplosione, eseguì i controlli su tutti i condotti pubblici del gas nella via senza riscontrare nessuna fuoriuscita di metano - e al suo superiore, che autorizzò il ritorno casa di Virzi e Venneri al termine di verifiche risultate infruttuose.
Secondo l’accusa, però, se il capo squadra fosse entrato nella corte dell’edificio dell’esplosione, forse avrebbe capito perché un contatore andava all’impazzata e, come extrema ratio, avrebbe sospeso l’erogazione del metano.
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