LA SVOLTA
Ex conceria, la bonifica
Interviene il Comune che presenterà il conto alla proprietà

L’interno dell’ex-conceria Fraschini come luogo di “passaggio e bivacco abituale” oltre che comoda discarica di “rifiuti assimilabili alla sussistenza urbana”.
In altre parole, lo stabilimento - chiuso ormai dal Duemila, ma nei fatti inattivo già da tanti anni e al centro di una lunga diatriba giudiziaria in ordine al suo risanamento ambientale - è diventato pericoloso rifugio di sbandati e fonte di ulteriore degrado.
Per questo motivo nei giorni scorsi il sindaco Gianpietro Ballardin, i Carabinieri forestali della Stazione di Laveno Mombello, i rappresentanti dell’Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa) e dei Vigili del fuoco di Varese hanno effettuato un sopralluogo congiunto «constatando, tra l’altro, l’abbandono dell’area e la violazione in più punti dell’interdizione eseguita a limitazione degli accessi al sito». Sono le parole con cui il primo cittadino ha emesso una ordinanza di messa in sicurezza degli accessi «a tutela della salute e a salvaguardia dell’ambiente come bene e risorsa della cittadinanza».
In attesa di un intervento capace di risolvere alla radice lo spinoso problema, rimane il fatto che l’intero complesso posto in fregio alla strada statale 394 (per lo stradario, via Sottosasso) si trova abbandonato a se stesso dopo la dichiarazione di fallimento e in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie.
Quanto al suo recupero, il sindaco ha notificato la suddetta ordinanza con cui entro il «termine perentorio di sette giorni» dalla sua emanazione si obbliga «l’attuale avente diritto sull’area di procedere all’immediata messa in sicurezza e chiusura degli accessi con sistemi idonei atti ad impedire l’accesso dall’esterno da parte di persone non autorizzate e a garantire la custodia e il monitoraggio costante della situazione ambientale dell’immobile».
Il termine è scaduto la scorsa settimana. A chi tocca, dunque, l’onere di tale operazione? Il fallimento della conceria e il proscioglimento degli imputati ha costretto il sindaco ad intraprendere un tortuoso percorso per risalire al proprietario attuale, finalmente identificato (almeno così sembra) in un possidente milanese.
Tutto chiaro, allora? Mica tanto, perché quest’ultimo - interpellato dall’avvocato cui lo stesso sindaco del paese si è dovuto rivolgere per venire a capo della matassa - pare abbia già rifiutato ogni disponibilità a collaborare.
«A questo punto - conclude Ballardin, che nell’autunno passato aveva apertamente dichiarato di voler definire una volta per tutte la questione, almeno per la fase più impellente legata alla sicurezza, entro e non oltre il 2020 - non ci resta che procedere a denunciare la persona identificata e ad avviare i lavori di bonifica in sua vece. Attingeremo ai 760mila euro stanziati a suo tempo dalla Regione, salvo poi rivalerci sull’attuale proprietario essendo quei fondi di natura pubblica, quindi di tutti. Cittadini di Brenta compresi».
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