IL CASO
«È un carcere ingiusto»
La denuncia di un ex detenuto: lì dentro pochi privilegiati
Si potrebbe dire che ora tutti saltano sul carro dei paladini della giustizia, si susseguono i «l’ho sempre detto, lo sapevamo, non è una scoperta».
Ma non è così, perché in realtà chi assisteva alle sperequazioni carcerarie non si girava dall’altra parte. C’erano state denunce oltre che blande segnalazioni o lamentele.
E ora tra gli ex detenuti c’è chi rivendica i diritti negati a favore dei privilegiati. «Succedono troppe cose dietro quelle mura, soprattutto nell’area trattamentale. In quattro anni e due mesi non ho mai avuto un’educatrice, ho provato in tutti i modi ma non ho mai avuto risultati», si sfoga il cinquantottenne Abdelmlek Abdelhak mostrando una cartelletta piena di documenti. Il primo che balza all’occhio è un referto sanitario che attesta un dato degno di approfondimenti: entrato in via per Cassano nel 2016 senza alcuna particolare patologia, a fine del 2017 il test di mantoux risultava positivo. Dietro le sbarre l’uomo aveva contratto la tubercolosi.
Il racconto prosegue: «Sono stato discriminato dall’assistente sociale del Sert e mi ha negato il programma terapeutico, mi sono rivolto al Prap e al garante dei detenuti, Matteo Tosi, gli ho raccontato la mia situazione, speravamo che denunciando il fatto attraverso La Prealpina contro l’istituto qualcosa cambiasse, invece è peggiorato». Abdelhak ci mette nome e faccia, non teme smentite e di cose da raccontare ne avrebbe da riempirci un libro.
Le rivela, ma la loro portata e le ovvie implicazioni dovranno valutarle gli inquirenti. I temi sono sempre quelli di cui gli ex carcerati narrano spesso, pur rimanendo inascoltati: telefonini nelle celle, stupefacenti, incontri con donne. «Non sono mai stato in graduatoria per il lavoro interno né per l’articolo 21 interno. È vero, non c’è mai stata una rivolta, ma non vuol dire che siamo contenti del sistema. Sono molti quelli che non hanno ancora una sintesi e una relazione per avere alternative. Queste cose le dico sperando che non si ripetano più».
Poi un’altra telefonata rinsalda le ipotesi investigative del procuratore capo Giuseppe D’Amico che coordina il lavoro del luogotenente Giovanni Antico, delle fiamme gialle e della polpen. «Avevo denunciato tutto nel 2015 alla procura, perché erano evidenti le ingiustizie nell’area trattamentale. So che era stata sentita dagli inquirenti l’allora responsabile e posso dire che da quel giorno venni preso di mira. Solo i ricchi avevano vantaggi, c’erano favoritismi palesi. Lo dissi anche al magistrato di sorveglianza e noto con amarezza che nulla fino ad oggi è cambiato. Andate a cercare le mie denunce, lì c’era tutto», afferma l’ex ospite della casa circondariale bustese che durante i lunghi anni di reclusione segnalava puntualmente alla Prealpina disagi e criticità dietro le sbarre. «Non importa scrivere il mio nome, è un passato che voglio lasciarmi alle spalle perché ora la mia vita è tutta un’altra cosa. Tanto là dentro mi conoscono bene tutti, le mie denunce saranno ancora in qualche armadio della procura, chiedete a don Silvano: un uomo splendido che per noi si è sempre speso fino in fondo».
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