L’INDAGINE
Corrotti in carcere: molti sapevano
Zittito anche il garante Tosi. I rapporti dell’assistente capo della penitenziaria coi boss albanesi e calabresi
Anche al garante dei detenuti Matteo Tosi erano arrivate informazioni precise sul presunto giro corruttivo che, attraverso l’assistente capo della polizia penitenziaria Dino Lo Presti, veniva concesso ai carcerati di serie A.
Con Tosi si erano sfogati in molti, aveva ricevuto testimonianze anche dai parenti, gli riferivano che pagando il Pelato, ovvero Lo Presti, c’era chi otteneva i permessi premio, i lavori interni ed esterni, le relazioni favorevoli che finivano sul tavolo del magistrato di sorveglianza.
Tosi, ad aprile del 2019, rivelò queste affermazioni all’agente di rete Sabrina Gaiera.
L’educatrice lo rassicurò: «Tieniti tutto per te, approfondisco io la vicenda», gli disse. Al momento non risultano sue segnalazioni agli inquirenti.
Questo almeno è quanto trapela dalle indagini coordinate dal procuratore capo Giuseppe D’Amico e condotte dalla pg della polizia penitenziaria e dalla guardia di finanza di Varese.
A causa del Covid 19 gli interrogatori di garanzia sono stati prorogati di quindici giorni con decreto dell’autorità giudiziaria. Ma l’avvocato di Lo Presti, Francesca Cramis, ha già studiato tutta l’ordinanza e ne ha discusso a lungo con il poliziotto richiuso a Bollate.
«Ho letto attentamente le carte - spiega l’avvocata -.. Sono convinta che il quadro indiziario si affievolirà perché tanti elementi sono perfettamente giustificabili. Lo dimostreremo nei tempi e nei modi opportuni».
tamane il legale ha depositato la richiesta di riesame limitatamente alle esigenze cautelari.
Dietro le sbarre sono finiti pure Alessandro Buoni, Giovanni Marchetta, Giuliano Ronga e Genti Picari (che a quanto pare aveva contatti con la famigerata banda dell’Audi R6s gialla, rubata a Malpensa e usata per rocambolesche rapine).
Ai domiciliari sono invece finiti Monica Guanzini (responsabile della cooperativa La mia voce ovunque) e Antonio Cavalli.
A parere degli inquirenti Lo Presti, Guanzini e il marito Buoni avrebbero composto un triangolo perfetto: l’assistente capo, sfruttando i propri poteri di condizionamento e il rapporto instaurato con alcuni dei componenti del Gruppo di osservazione e trattamento, avrebbe assegnato alla cooperativa dei coniugi i detenuti “paganti”, ammessi quindi al lavoro esterno.
Guanzini e Buoni avrebbero per questo corrisposto denaro a Lo Presti. I costi del lavoro non gravavano sulla associazione bensì sullo Stato.
Rapporti quantomeno ambigui quelli tra il poliziotto e alcuni noti pregiudicati del territorio. La frequentazione con Enrico Barone era più che assidua. Strettissima la relazione con Edoardo Novella (figlio del boss della ‘ndrangheta Carmelo, ucciso nel 2008), con la famiglia di Massimo Murano, detenuto che non avrebbe potuto usufruire di benefici in virtù di un’aggravante prevista dalle norme contro la criminalità organizzata. E poi con Antonello Puricelli e con gli albanesi legati a Delaj Pellumb, il re del narcotraffico che all’interno del carcere - nonostante tutte le ostative - era riuscito ad avere l’incarico di barbiere e poi di fac totum in terza sezione.
Fu un recluso a squarciare la fitta oscurità che pesa sulla casa circondariale di via per Cassano. Lo hanno ammesso gli inquirenti stessi: muoversi lì dentro è complicatissimo, questa è tra le indagini più ostiche affrontate dalla polizia giudiziaria di largo Giardino. Ma non è ancora conclusa, perché c’è molto da scavare.
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