L’ALLARME
Busto, ancora un tumulto in carcere
Tre detenuti cercano di incendiarsi. Condanne per la rivolta del 2018

Ennesima serata di tensione in via per Cassano, detenuti ancora in sommossa, agenti sempre più stremati. Intorno alle 19 di sabato 11 dicembre tre maghrebini - l’etnia più difficile da contenere - hanno iniziato a protestare per manifestare i loro disagi e si sono scagliati contro il personale del reparto che li ospita. Uno si è cosparso il corpo con l’olio di semi che aveva in cella per cucinare, ha impregnato ben bene la maglietta e con l’accendino ha cercato di darsi fuoco. Il compagno di cella nel frattempo sputava, inveiva e minacciava e il terzo invece si tagliuzzava con una lametta, procurandosi varie ferite alle braccia.
Non è la prima volta che quel terzetto semina scompiglio nella casa circondariale ma di episodio in episodio diventa sempre più difficile gestirli. Acquietati i maghrebini dai bollenti spiriti, l’attenzione si è spostata su altri tre detenuti nel reparto delle sanzioni disciplinari. Dunque non c’è mai tregua (a settembre un’aggressione), fanno notare i delegati del sindacato Uilpa penitenziaria Davide Aremina e Salvatore Scarciglia. Che, dando voce anche al delegato provinciale Pierpaolo Giacovazzo, avvertono: «Siamo al collasso in tutte le unità operative. Il nucleo traduzioni a breve non potrà assicurare le traduzioni in aula», ossia il trasferimento degli imputati in tribunale, dove hanno diritto di stare.
Nelle scorse settimane il direttore del penitenziario Orazio Sorrentini ha ribadito al Prap le gravi carenze di organico del personale guidato dal comandante Rossella Panaro ma non si smuove nulla.
E le criticità si trascinano da anni, quindi non si può parlare di impazienza. A settembre 2018 scoppiò una sommossa, scatenata da due egiziani, due marocchini e un siriano che sono ora finiti davanti al gup Stefano Colombo: due degli imputati hanno scelto di difendersi in dibattimento, gli altri invece sono stati condannati con rito abbreviato a tre anni e quattro mesi, un anno e otto mesi e un anno. L’accusa era di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, i fatti accaddero in terza sezione: i cinque cercarono di dare fuoco agli agenti della polizia penitenziaria usando le bombole di gas che si lanciavano da una cella all’altra e che spruzzavano contro i poliziotti minacciati con gli accendini.
Il tumulto partì da un egiziano che - dopo aver litigato con un albanese - si opponeva al trasferimento. Dapprima scagliò un carrello contro gli ispettori, poi trascinò nella sua furia gli altri concellini nella protesta. Un sovrintendente rischiò l’ustione, per fortuna sua i colleghi riuscirono a “spegnerlo” subito.
Il piano di riserva del gruppo in rivolta era far esplodere le bombole dentro al carcere ma fallì pure quello. In compenso una dozzina di poliziotti finì in ospedale con prognosi fino a 45 giorni.
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