LA FINE
La lenta agonia di Accam
Ad un mese dall’incendio riaprirà una linea: danni da tre milioni, le turbine non erano assicurate

Tre milioni di euro di danni già accertati a Busto Arsizio, anche se la cifra è destinata a crescere di molto.
E, beffa nella beffa, la mancanza di copertura assicurativa su quelle turbine che producevano energia (quindi introiti) e che sono andate in fumo la notte del 13 gennaio, in un incendio che rischia di aver segnato la fine per il termovalorizzatore Accam.
CAPOLINEA VICINO
Già, perché prospettare il definitivo tramonto dell’impianto per lo smaltimento rifiuti, in questo momento, non significa avanzare ipotesi disfattistiche, bensì guardare in faccia alla realtà.
D’altronde la situazione è da un lato confusa per le incertezze legate al momento ma dall’altra chiarissima sul fatto che la Spa, per non smettere di svolgere il proprio lavoro, dovrebbe chiedere ai suoi 27 Comuni proprietari uno sforzo economico pauroso.
Scenario, quello di una ripartenza nel segno della continuità, che non pare poter trovare terreno fertile in amministrazioni con le casse vuote, con perplessità diffuse sull’inceneritore e con la recente mazzata dell’inchiesta Mensa dei Poveri che ha demotivato anche i sindaci più favorevoli a una prosecuzione.
COMUNQUE SI RIACCENDE
Insomma l’assemblea dei soci, che venerdì 7 febbraio sarà informata della situazione nel dettaglio, si trova davanti a un bivio. Tutto ciò sebbene nei prossimi giorni l’attività di incenerimento dovrebbe riprendere in un forno, perché gli operai si stanno affrettando a ripararlo, non fosse altro che per dare una chance in più al mantenimento del loro posto di lavoro.
La ripartenza parziale, oltretutto, è ben vista dallo stesso Cda, perché nell’attesa delle decisioni dei municipi che detengono le quote azionarie, si limiteranno perlomeno i danni.
Oggi, infatti, il trasporto dei rifiuti in altri impianti obbliga a una spesa ulteriore rispetto alle cifre versate dai soci e ciò, unito al non funzionamento delle turbine, costa circa trentamila euro al giorno.
Viceversa, riattivando una linea, si conterranno le perdite, stimabili a quel punto a circa diecimila euro giornalieri, calcolando i mancati introiti dalla vendita di elettricità, destinati però a durare molto a lungo.
IPOTESI RICONVERSIONE
Ma, come detto, in gioco non c’è solo la prospettiva a corto raggio. Ben più importante è invece il destino stesso dell’inceneritore.
È così pensabile che il sito di Borsano sia destinato ad andare incontro alla sua fine, perlomeno per come è stato fino ad oggi, smettendo di mangiare scarti da tutto il Basso Varesotto e dell’Altomilanese.
Si proverà semmai a ripensare la funzione della società, convertendone i servizi in una logica di riciclo e riuso, senza più l’utilizzo di quel fuoco che - beffardamente - potrebbe aver segnato il tramonto di un’attività che va avanti da quasi sessant’anni nel territorio, fra tantissime polemiche ma senza mai arrestarsi.
I TANTI NODI
Oltretutto, al netto del pesantissimo guaio economico che le fiamme hanno lasciato in dote (assieme a un mese di spegnimento) ci sono tantissime altre questioni irrisolte e spinose in questa stessa partita.
Si tratta ad esempio del fatto che Accam non è più da mesi una società considerata in house (cioè con il 70 per cento di fatturato legato ai rifiuti dei propri soci) e ciò obbligherà tutti i Comuni a mettere presto a gara i loro conferimenti, senza certezze che la stessa Accam (se mai deciderà di presentarsi ai bandi) possa riaggiudicarsi il servizio, ancor più adesso che non produce energia.
Altro elemento critico sono gli ammodernamenti che si bloccheranno perché l’azienda non ha più soldi da investire né banche pronte ad anticiparli.
E poi non va dimenticata la questione della scadenza del contratto di affitto con Palazzo Gilardoni, che scade nel 2025 a fronte di una convenzione valida due anni in più.
2040: UNICA SPERANZA
In questo disastro complessivo sarà ben difficile che i sindaci si accordino per sistemare le date e prolungare la vita all’inceneritore.
Oltretutto la verità è che, per sostenere la ripartenza di Accam, l’unica strada sarebbe quella di deliberare un prolungamento dell’attività di incenerimento almeno fino al 2040, dando respiro agli ammortamenti e rendendo possibili le aperture di mutui.
Ma è una prospettiva impensabile in questo scenario in cui tutti hanno paura e il sentire comune è farla finita con un’azienda che sta procurando guai in serie e ora pure perdite.
Per questo immaginare che l’inceneritore sia arrivato a fine vita è non solo possibile, ma altamente probabile.
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