CORONAVIRUS
La Provvidenza al collasso
Strage silenziosa: tre morti e 25 infetti nella casa di riposo bustese. «Ma non fanno i tamponi»

Purtroppo i peggiori presentimenti si stanno avverando. Anche la casa di riposo La Provvidenza - storica residenza per anziani a Busto Arsizio - sta vivendo il periodo più drammatico della sua ultracentenaria storia per colpa dell’invasione del coronavirus.
Il bollettino dei morti dentro la struttura di via San Giovanni Bosco sale ora a tre, mentre le persone con sintomi assolutamente riconducibili all’infezione polmonare sono adesso ben 25. «Ed è gravissimo che la Regione non abbia ancora disposto di effettuare i tamponi sulla maggioranza delle persone che in questo momento stanno male», urla al telefono la sua rabbia uno dei parenti delle persone ricoverate.
«Mia madre, per fortuna, sta bene ma la paura è ovviamente enorme. Da più di un mese non le posso fare visita, ringrazio con il cuore quelle persone che lavorano nell’istituto e che si stanno facendo in quattro per gli ospiti, anche se ormai nessuno di loro può più muoversi dalle camere, neanche per mangiare, tanto meno per fare qualche passeggiata».
Quella che sta avvenendo alla Provvidenza è dunque una strage silenziosa, nonostante il lavoro poderoso che tutto il personale sta facendo ormai da quasi due settimane. Ma, come è capitato in tante altre comunità simili, l’arrivo del Covid-19 ha rivoluzionato la vita di tutti, a qualcuno l’ha anche tolta, nella maniera più straziante.
Le persone che si infettano vengono trasferite nell’Hospice interno, trasformato nel doloroso campo di battaglia in cui affrontare i dolori e le crisi respiratorie. Ma, appunto, anche qui come altrove i tamponi non vengono ormai più fatti. E ogni volta che qualche degente ha qualche linea di febbre è un disastro. Si apre a quel punto il dilemma: considerare questo anziano contagiato e quindi spostarlo nell’ala apposita per le terapie polmonari oppure no? Perché, senza test che confermi il motivo di quei sintomi, nessuno può davvero sapere se un singolo abbia contratto il coronavirus e si ci sia il rischio di avvicinarlo ad altri soggetti già compromessi, a quel punto in modo irreparabile.
Il presidente Ambrogio Gobbi, il direttore generale Luca Trama e tutto il loro staff stanno facendo un lavoro incredibile per cercare di garantire le cure adeguate a tutti. Ma è una battaglia svolta ad armi impari, con gli strumenti di protezione che sono arrivati in ritardo solo grazie alla generosità di tanti bustesi. Anzi, le riserve di mascherine e camici stanno di nuovo terminando ed è partito l’ennesimo appello ai benefattori per recuperarne di nuove.
Tant’è vero che fra i 25 infetti ormai sicuri (ma se ne temono ora altre decine) ci sono anche diversi dipendenti, con i colleghi ancora sani messi a ripetizione in quarantena.
Il tutto sta avvenendo in una cittadella che ospita ben 400 persone e che vive sotto il pressing giustamente preoccupato delle loro famiglie. «Siamo terrorizzati e infuriati - conferma ancora il parente di una signora - ma non ce l’abbiamo certo con chi lavora nella struttura. Loro sono in prima linea, a rischio. Una ragazza l’altra sera mi ha videochiamato con il suo cellulare per farmi parlare qualche minuto con mamma...».
Il direttore Luca Trama si trova da mattina a sera al fronte, a combattere senza sosta: «Tutti gli operatori presenti in istituto stanno assistendo con dedizione e senso del dovere i nostri ospiti, cercando di alleggerire il più possibile questi momenti difficili per gli anziani», spiega. «Per quanto riguarda i tamponi, si stanno definendo con Ats i tempi e i modi per l’esecuzione».
E non è certo un messaggio troppo consolante per chi, a casa, vive giornate di apprensione per i propri cari. Per aiutare tutti è stato comunque istituito un servizio di comunicazione digitale con le famiglie, in modo che possano parlare e vedere genitori e nonni. Mentre i lavoratori hanno a disposizione un supporto psicologico. Perché anche loro stanno guardando la paura in faccia.
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