MALTRATTAMENTI
Schiava a domicilio: coppia a processo
Il marito attirò la vittima fingendosi agente segreto, ieri mattina la decisione del gup Bossi

Marito e moglie a processo. Così ha deciso ieri il gup Piera Bossi, che ha rinviato entrambi a giudizio con le accuse di maltrattamenti, lesioni e stalking.
Vittima della loro follia a due, l’amante di lui, una trentenne irretita dalle incredibili bugie che l’uomo raccontava sulla propria identità. La donna si è costituita parte civile con l’avvocato Cristina Torretta, il dibattimento inizierà però molto più avanti, a settembre dell’anno prossimo.
L’imputato, un ex militare quarantacinquenne, adescò la ragazza attraverso una chat. «Sono un agente segreto, lavoro sotto copertura, non posso rivelarti nulla della mia vita», le scrisse. I due iniziarono a frequentarsi, ovviamente secondo le modalità astruse di uno 007, o meglio, del classico uomo sposato che si fidanza con le altre, celando l’esistenza di una legittima consorte.
La trentenne si innamorò perdutamente al punto da accettare la proposta di andare a vivere con lui. «Vieni a vivere con me senza farti domande», disse l’imputato. «Per esigenze investigative devo fingere di essere sposato, ma è una copertura, la donna che abita con me non è davvero mia moglie». La donna, evidentemente in condizioni di particolare fragilità, ci cascò. E subito si rese conto di non avere vie di scampo.
A suon di botte l’ex militare e la moglie la costrinsero a fare la schiava domestica: la trentenne lavava, puliva, stirava, cucinava. Altro che fidanzata, una donna di servizio. E quando provava a ribellarsi pigliava botte. Di notte marito e moglie la chiudevano a chiave dentro a una stanza così che non potesse andare nemmeno in bagno. Le cambiarono il numero di cellulare, la isolarono dal suo mondo, dalle sue amicizie. Le impedirono di vedere la famiglia. In quello stato di segregazione rimase per circa un mese.
Riuscì a reagire solo dopo la sgradevole proposta dell’uomo: un rapporto a tre con la gemella. Con questo pretesto la vittima ebbe la possibilità di contattare la sorella e quindi di rivelare lo stato in cui era imprigionata. Venne liberata, ma a quel punto gli imputati iniziarono a perseguitarla: rivolevano il loro giocattolino.
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