VESSAZIONI
Senegalese discriminato. E licenziato
Denuncia il datore di lavoro ma la depenalizzazione dell’ingiuria è una beffa: «Scoprire che certe parole non sono punibili fa male»
«Lavati perché puzzi», «negro di m.....», «zulù», «mongolo»: sono solo alcuni degli insulti che si è sentito rivolgere un cittadino senegalese negli ultimi tormentati mesi della sua esperienza lavorativa in un’azienda della provincia di Varese.
L’uomo ha presentato denuncia alla procura di Busto Arsizio, sostenendo di essere stato vittima di ripetute vessazioni e insulti, anche a sfondo razziale, da parte dei datori e colleghi di lavoro, al solo scopo di costringerlo a mollare il lavoro. Di fronte al suo rifiuto di rassegnare le dimissioni, l’azienda ha proceduto al licenziamento, che è stato impugnato.
Permesso in regola
L’operaio di origine africana, residente sul nostro territorio con regolare permesso di soggiorno, ha denunciato penalmente i suoi ex datori di lavoro. A sei anni dai fatti, il procedimento è stato archiviato dal Gip, che non ha rilevato condotte penalmente rilevanti a carico delle persone denunciate.
A questo proposito va evidenziato che in seguito al decreto “svuota carceri” del 15 gennaio 2016, che depenalizza il reato di ingiuria (rendendolo un mero illecito civile), l’insulto razzista non si può considerare di per sé reato. Chiariamo con un esempio: se qualcuno pronunciasse la frase «brutto negro, ti do fuoco», costui sarebbe sì perseguibile penalmente, ma non per l’epiteto razzista, bensì per la sola minaccia. Razzismo e xenofobia diventano invece reato in caso di «propaganda», ovvero quando qualcuno divulghi idee basate sull’odio razziale, o istighi a compiere atti discriminatori.
L’operaio senegalese non riesce a darsi pace: «La cosa che mi dà più fastidio – racconta – è che a trattarmi in quel modo sono state persone con cui ho lavorato per dieci anni. A un certo punto è cambiato tutto: hanno cominciato a dirmi che puzzavo, che non mi lavavo (cosa non vera perché facevo la doccia tutte le mattine). Mi hanno ripreso perfino perché indossavo due maglioni mentre lavoravo in cantiere al mattino presto. Non sapevano più cosa dirmi per fare in modo che mi stancassi e lasciassi il posto di lavoro».
Il dipendente licenziato ripensa con rabbia al contenuto di alcune frasi rivoltegli da un ex collega: «Mi è stato dato del «negro di m....». Mi è stato detto che puzzavo, che facevo schifo. Non posso accettare certi insulti da persone che ritenevo amiche».
Il Gip non ha rilevato dagli atti “nemmeno l’ombra di insulti di sapore razzista”, mentre nella richiesta d’archiviazione il pubblico ministero ha evidenziato “la natura marcatamente offensiva e razzista” delle frasi di un collega di lavoro del denunciante, ma “alla luce dell’avvenuta depenalizzazione delle discriminazioni in ambito lavorativo, la vicenda assume natura prettamente giuslavoristica”.
L’uomo è difeso dall’avvocato Milena Ruffini, che spiega: «Difficile per il mio cliente fornire nuovi spunti investigativi a più di cinque anni dai fatti. Per di più, la sola offesa a sfondo razzista, anche se reiterata, non ha più alcuna rilevanza penale in seguito alla depenalizzazione del reato di ingiuria, peraltro avvenuta in epoca successiva ai fatti».
Tuttavia, «l’insulto razzista è discriminatorio e svilente: il suo grado di offensività non può essere paragonato a quello della semplice ingiuria. Auspico interventi legislativi in merito».
Profondamente segnato
Dopo quegli episodi, l’uomo non è stato più lo stesso: «Sono rimasto profondamente segnato - dice - faccio fatica a prendere sonno e la psicologa mi ha consigliato di iniziare una terapia prima che il mio malessere sfoci in una depressione. Venire a sapere che l’insulto razzista in Italia non è un reato mi lascia tanta amarezza».
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