I MALTRATTAMENTI
«Voglio vedere il mio bambino»
Violento con la compagna incinta e col neonato. E pentito a parole

«Non ce la faccio, voglio vedere il mio bambino, è piccolo, non voglio perdermi i passaggi fondamentali dei suoi primi mesi di vita».
Se ci avesse pensato prima, invece che picchiare la compagna incinta e pretendere che abortisse.
Sembrano lacrime di coccodrillo quelle del venticinquenne colpito l’altro giorno dal divieto di avvicinamento alla ex?
Il giovane, difeso dall’avvocato Elena Luviè, è comparso davanti al gip Piera Bossi per l’interrogatorio di garanzia ma ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere.
Il giudice gli ha rammentato la necessità di attenersi al provvedimento chiesto dal pubblico ministero Stefania Brusa, viceversa potrebbe finire in carcere.
Anche perché c’è un aspetto molto delicato da approfondire e riguarda proprio il rapporto con il figlio nato lo scorso maggio: poco prima che intervenisse la polizia, la madre della compagna era accorsa per calmare in neonato in preda a una fortissima colica. Giunta in casa, la donna trovò il piccino in braccio al padre, aveva la pancina molto arrossata e pure il volto paonazzo.
«Ho provato a tranquillizzarlo stringendogli forte la pancia per fare uscire il gas», ha spiegato l’indagato.
Oltretutto, fin dal primo vagito, il venticinquenne ha dato segni d’intolleranza e di fastidio ai pianti del bimbo e nell’ordinanza del gip Bossi questa insofferenza è ben evidenziata.
«Dopo il parto l’uomo ha manifestato una sorta di disagio tanto da apostrofare spesso e in malo modo la compagna quando non riusciva a far cessare il pianto del bambino. È arrivato anche a sottrarglielo con forza dalle braccia mentre lo allattava, colpendola con uno schiaffo», si legge negli atti.
Un gesto brutale compiuto quando ancora la convivente e il piccino erano in pediatria, tanto che l’assistente sociale dell’ospedale ha inviato una segnalazione ai colleghi di competenza territoriale per una valutazione del nucleo familiare.
Va detto poi che la ex ha un passato travagliato, fatto di violenze domestiche che subiva dal padre, ragione per cui era stata tolta dalle sue grinfie, Quando il fidanzato perdeva la calma, la terrorizzava anche usando l’arma delle colpe paterne.
«Sono peggio di tuo padre, ti farò cose peggiori di lui» le diceva.
Che il ragazzo abbia difficoltà nel gestire la rabbia è abbastanza evidente.
Alle spalle ha già una condanna per maltrattamenti verso i genitori e verso la nonna, contro cui spesso imprecava dicendo «io l’ammazzo quella vecchia».
Anni di comunità riabilitativa non gli sono evidentemente serviti, del resto senza un percorso terapeutico e farmacologico - mai impostato, a detta sua, nella struttura in cui è stato ricoverato - non può controllare le pulsioni aggressive e distruttive che lo muovono.
Soluzioni? Per ora non si intravvedono.
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