LA SENTENZA
Foto hard a una bambina: 23enne condannato
Adescata con un’app e costretta a videochiamate

Non aveva ancora compiuto undici anni quando ricevette il primo messaggio hard del ventitreenne condannato a tre anni e quattro mesi per molestie sessuali. Era in vacanza con la famiglia, la sorella più grande aveva stretto amicizia con una coetanea e non la coinvolgeva mai nelle loro iniziative, la mamma e il papà si godevano il mare e la bambina trascorreva la maggior parte del tempo chiusa in cameretta con il cellulare in mano.
L’ADESCAMENTO
Venne adescata da un ragazzo del paese attraverso Snapchat, un’app che consente di contattare gente sconosciuta nel raggio di qualche centinaio di metri. Scambiarono un paio di messaggi ma i convenevoli durarono poco: il ventitreenne iniziò a inviare alla ragazzina foto porno e poi la coinvolse in una spirale di videochiamate erotiche alle quali lei non era in grado di opporsi. Anche perché il giovane si arrabbiava come una furia quando lei cercava di rifiutare.
IL BOMBARDAMENTO PSICOLOGICO
Dal 26 agosto al 4 settembre del 2023 fu un bombardamento psicologico per lei: trentadue video telefonate, messaggi, immagini esplicite inviate dalla piccola su ossessiva pressione del ventitreenne. «Facciamo come ieri, spogliati tutta», le scriveva in chat.
IL CAMBIAMENTO D’UMORE
I genitori colsero il cambiamento d’umore della figlia, incupita e triste. Tornati in territorio Altomilanese il padre le prese il cellulare, scoprì cosa la stava turbando e andò subito dai carabinieri. A processo, davanti al gup di Messina Tiziana Leanza, la famiglia si è costituita parte civile con il patrocinio dell’avvocato Salvatore Verdoliva. «Ho visto negli occhi dei genitori la sofferenza e il disgusto, misti al senso di colpa per aver permesso alla ragazzina di utilizzare lo smartphone senza esercitare il controllo che forse sarebbe stato necessario a quell’età», ha raccontato l’avvocato durante la discussione, immedesimandosi nei panni di un padre a cui sfugge la situazione di mano.
LE CONSEGUENZE
La bambina uscì a pezzi da questa vicenda. Fu necessario il supporto del dipartimento di salute mentale per alleggerirle il senso di vergogna e di sporcizia che si sentiva addosso. A distanza di un anno è ancora chiusa in se stessa e di quei fatti non vuole più parlare. «Quali saranno le conseguenze di queste condotte sulla psiche della minore?» si chiede l’avvocato Verdoliva. «I genitori da quel giorno hanno dovuto tenere un occhio ancor più vigile». Scrive il giudice Leanza nella motivazione della sentenza depositata nei giorni scorsi: «L’imputato si è totalmente disinteressato circa l’età della vittima, la quale sebbene non abbia i tratti fisici della bambina non può certo ingenerare l’impressione che sia maggiorenne».
Il ragazzo non si è presentato a nessuna delle due udienze. L’avvocato difensore Francesco Rigano, che ha scelto il processo con rito abbreviato per ottenere lo sconto di un terzo sulla pena, con ogni probabilità ricorrerà in appello.
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