IL VIAGGIO
Cagliari, il bassotto e il vento del Sud
Terza tappa dei crocieristi targati Prealpina: approdo sull’Isola

Sbarcare in Sardegna settantadue ore dopo la vittoria del Cagliari contro l’Inter significa sfogliare l’album delle figurine Panini: Gigi Riva, nato a Leggiuno, Varese, cresciuto calcisticamente a Legnano; Manlio Scopigno, l’allenatore galantuomo; e poi il celeberrimo Niccolai. Non ricordiamo il suo nome di battesimo, ma le sue autoreti sì. Primatista della specialità, battuto solo dall’interista Ferri. Ne ha combinate di tutti i colori, anche con la maglia della Nazionale, eppure per gli sportivi resta un difensore di talento.
Significa anche, questo sbarco in questi giorni, sentire la voce del corrispondente della Rai che chiedeva la linea Enrico Ameri dallo stadio Sant’Elia per annunciare, con la l’inguaribile inflessione del luogo, che i rossoblù avevano raddoppiato.
Gol in sforbiciata di “rombo di tuono”, il cannoniere malinconico, l’uomo che ci ha fatto sognare a Città del Messico. Le tifoserie hanno tirato fuori dagli armadi antiche bandiere. Era un altro calcio, meno miliardi, pochi stranieri. Ma chissà. Sperare fa bene al morale.
Prima impressione davanti al fiume di crocieristi inghiottiti da una marea di pullman diretti nel centro storico: non ci siamo solo noi, scesi dalla Pacifica della Costa.
Un molo più avanti svettano altri due giganteschi bastimenti, uno americano, l’altro inglese. Facendo quattro conti, non meno di diecimila viaggiatori in libera uscita. Domanda: siamo proprio sicuri che il turismo italiano non abbia più occhi per piangere?
E’ ottobre inoltrato, le grandi ferie sono finite da un pezzo, c’è un mucchio di gente ancora a zonzo: l’area del Mediterraneo, il quadrilatero Liguria-Costa Azzurra- Corsica-Malta continua a essere in cima alla classifica dei desideri.
Quanto valore aggiunto per la nostra economia?
Ai trombettieri delle stime di crescita che ballano a suon di zero virgola bisognerebbe dire di allontanarsi dai loro pensatoi, di rinunciare agli algoritmi e di tornare alle vecchie moltiplicazioni. Magari usando una calcolatrice. Mille-millecinquecento euro per diecimila, per otto giorni e sette notti. Più il corrispettivo di shopping ed escursioni. Un tesoretto pronta cassa, il fatturato annuo di una media impresa.
Pochi sanno che Cagliari, dopo Napoli, è stata la città italiana più bombardata durante la Seconda guerra mondiale, quella che ha subito maggiori danni, come Coventry (Inghilterra) o Dresda (Germania): l’80% degli edifici fu distrutto.
Sono passati 70 anni da quei raid aerei, morirono oltre 2.000 persone, ma per i reduci è come se il tempo non fosse mai passato.
Chi scampò agli spezzoni che trafissero Cagliari non ha mai dimenticato. Perché tanta ferocia su Cagliari? Due ragioni; deviare l’attenzione dei tedeschi verso la Sardegna, mentre si preparava lo sbarco in Sicilia. Anche se molti pensano che la città abbia avuto il torto di trovarsi a poche miglia dalle basi alleate in Marocco, Algeria e Libia.
Un comodo poligono di addestramento, insomma.
Città sviluppata su sette colli come Roma, Lisbona, Istanbul.
Con il nostro seguito, la pattuglia di lettori della Prealpina, scegliamo di salire ai Bastioni di Saint Remy. Ci segue un bassottino. Non è un randagio, vive da queste parti con la sua padrona, una vedova ci dicono. Si siede paziente davanti all’ascensore pubblico che conduce alla vetta di quest’altura che ospita la cattedrale dedicata in origine a Santa Cecilia, poi alla Madonna. La presenza di file di turisti non lo scompone. Sa come tornare a casa.
Un chilometro di camminata ed ecco la basilica di Bonaria, tempio simbolo di tutta la regione.
I devoti la raccontano così: c’era una tempesta che strapazzava una nave al largo di Cagliari nel terzo secolo dopo Cristo.
Il comandante ordinò di scaraventare tutto il carico in mare. C’era una cassa che galleggiò tra le onde fino ad giungere a riva sotto una collina. La recuperarono: dentro fu trovata una statua delle Vergine che oggi sta sull’altare centrale della cappella medievale, trasformata in chiesa maggiore nel 1700 dai Frati della Mercede.
La città è vivace sulla promenade che segue la linea della costa.
Ci sono ancora i filobus e le crociere alimentano un tessuto economico povero di industrie dopo l’euforia degli anni del Moplen. La bolla speculativa del petrolchimico, ma anche quella dell’alluminio, crearono migliaia di posti di lavoro ai danni dell’ambiente naturale devastato.
Poi la bolla svanì e di quell’epoca sopravvivono, negli angoli più belli dell’isola, soprattutto a Nord, carcasse arrugginite di serbatoi, oleodotti, pontili. Gli anni del miracolo, si dice. Anche degli orrori ciechi.
A bordo della Pacifica, la nostra brigata alimenta il diario giornaliero. Ormai i viaggiatori targati Prealpina fanno squadra. Nell’ora che ai naviganti intenerisce il core, adunata sul ponte tre dove un piano bar perpetuo lancia melodie stagionate, trascinando in pista i virtuosi del mambo e del twist.
Ai margini s’intrecciano racconti di vita vissuta. C’è un imprenditore di Caronno Varesino. Faceva gru a Cassano Magnago con il marchio Cibin. Si chiama Fernando Brazzelli, sua moglie Pierina. Odino Carraro è di Ispra, ha lavorato al Centro di ricerche: da giovane ha corso in bicicletta per la gloriosa Binda e si ricorda l’Alfredone di Cittiglio commissario tecnico ai Mondiali di Varese del 1951. Ottantenne tonico: non è vero che lo sport fa male.
Gianluca Magni di Varese, ex della Sip, scopre le sue carte di crocierista di lungo corso. Questa sulla Pacifica è l’ottava avventura. Bella fedeltà al genere che contempla a fine pomeriggio uno show in un teatro da duemila posti.
Oggi musical con fior di professionisti sul palco. Chissà se Berlusconi era così bravo quando cantava sulle navi col suo amico Fedele Confalonieri, il nipote di Giovanni Borghi?
I pensieri, solitari e di gruppo, s’affollano solitamente nel dopo cena.
Saluti notturni dal ponte undici, il più alto.
La nave fila silenziosa sulla rotta Cagliari-Malta. C’è un vento caldo che soffia dall’Africa. In lontananza le luci di un altro bestione d’acciaio che va nella direzione opposta. Che cos’è il viaggio?
Una scuola che muove la mente. Un prodotto anti-tarme che irrora la materia grigia. A una certa età bisogna spruzzarne di continuo.
Difficilmente vedere luoghi nuovi produce abitudini usate. C’è differenza tra il viaggiatore e il turista.
Il primo non disdegna comodità ma non le cerca a ogni costo. Il secondo non accetta l’imprevisto, sale di una cronaca che poi diventa storia da raccontare alla prima occasione. Succede anche vivendo una settimana nel ventre di un palazzo reale che galleggia. Basta uscire dai circuiti e fermarsi a parlare con la ciurma che è pagata per far star bene i crocieristi.
Molti arrivano da terre povere, Sudamerica e Filippine. Sì, si sono imbarcati per sorridere. E per lasciarsi alle spalle il pianto.
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