SVIZZERA
Frontalieri: più donne e over 40
I numeri degli ultimi vent’anni: ecco come sono cambiati i varesini che lavorano in Ticino

Quando si parla del numero di frontalieri, di solito si tende a valutare l’andamento sull’anno precedente, la crescita o la diminuzione o l’avvicinarsi a nuovi primati sulle presenze.
L’ultimo? Gli oltre 67.000 lavoratori italiani che, ogni giorno, fanno avanti e indietro col Canton Ticino per lavoro. Un record storico, appunto, che ha attizzato nuovamente i problemi nelle relazioni fra l’Italia e il cantone di lingua italiana.
Si tratta di frizioni che colpiscono anche la popolazione per la solita litania dello straniero “che ruba il lavoro” ai residenti.
Scavando nei numeri però si scoprono altre questioni interessanti, a partire dall’identikit del frontaliere in Canton Ticino fra cui, chiaramente, la parte del leone la fanno i varesini e i comaschi, con una minoranza dalla sponda piemontese del Lago Maggiore. Secondo quanto emerge dalle tabelle dell’Ufficio federale di statistica, si scoprono essenzialmente due macro-tendenze sui dati dal 1999 al 2019: vent’anni in cui è cambiato il mondo e dove anche la popolazione frontaliera è mutata. E di parecchio.
Per esempio la popolazione frontaliera è invecchiata di una quindicina d’anni. Già perché se vent’anni fa la fascia d’età maggiormente impiegata era compresa, sia per gli uomini che per le donne, fra i 30 e i 34 anni, oggi è invece quella fra i 45 e i 49 anni. Un dato rafforzato anche dalle altre fasce anagrafiche delle persone “brizzolate”. Tanto che, in vent’anni, le donne frontaliere over 40 sono passate da 4.177 a 14.519 unità. Insomma, sono quasi quadruplicate. Mentre gli uomini della medesima categoria sono quasi triplicati, passando da 8.555 a 24.636. Cosa vuol dire? «Le persone espulse dal lavoro durante gli anni più bui della crisi economica, fra il 2008 e il 2016 – dice Giuseppe Augurusa, vicepresidente dell’Osservatorio interregionale sui frontalieri e responsabile nazionale dei lavoratori frontalieri per la Cgil - oppure coloro che in quegli anni non trovavano occupazione, si sono riversate in Svizzera. Inoltre negli ultimi anni è cresciuto un altro fenomeno: il mercato del lavoro svizzero ha iniziato a richiedere professioni più avanzate. E quindi i frontalieri non arrivano più soltanto dalla fascia di confine ma, in migliaia, anche da Milano. E si tratta di persone con elevata professionalità, come quelle dai settori della finanza e della chimica che, chiaramente, sono di mezza età».
L’altra tendenza interessante riguarda sempre le donne: nella fascia fra i 15 e i 24 anni si rileva l’unico numero in diminuzione da vent’anni a questa parte. Da 1.346 occupate, sono scese a 1.020 e questo probabilmente sottende un fenomeno positivo, vale a dire che le ragazze, come dimostrano molti altri dati sui laureati italiani, preferiscono andare avanti a studiare ed eventualmente trovare un’occupazione in Svizzera soltanto dopo aver riempito il proprio bagaglio di conoscenze. Tant’è vero che, per esempio, le proteste ticinesi sull’«invasione» lavorativa tricolore non esisteva quando gli italiani si limitavano a spaccarsi la schiena nei cantieri dell’edilizia o rimanevano confinati nelle fonderie o nelle catene di montaggio. Ma è esplosa quando i frontalieri hanno iniziato a indossare anche i colletti bianchi in ospedali, scuole e uffici.
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