LA SENTENZA
Pegoraro, ergastolo confermato
La Cassazione mette la parola fine sull’omicidio di Laura Prati: negate le attenuanti generiche

Attenuanti generiche? Nemmeno a parlarne. Giuseppe Pegoraro, l’ex vigile che sparò alla sindaca Laura Prati, non fece mai nulla per meritarsele.
Di questo parere è la Procura generale della quinta sezione penale della Cassazione, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso presentato dall’avvocato Maria Grazia Senaldi contro la sentenza di ergastolo. Ergastolo che a tarda sera di ieri è stato confermato dalla Suprema Corte.
Ad ascoltare l’udienza c’era anche il figlio del primo cittadino ucciso a luglio del 2013, Massimo Poliseno, costituitosi parte civile con il patrocinio dell’avvocato Cesare Cicorella. Silenzioso e composto come sempre, ha atteso la sentenza fino alla tarda sera di ieri, lunedì 25 febbraio.
Per lui, come per la sua famiglia, sei anni sono lunghi quanto un giorno, nulla nel suo dolore è cambiato da quel 2 luglio, quando Pegoraro fece irruzione in Comune e sparò a sua madre - e al vicesindaco Costantino Iametti - con la freddezza di un sicario. Laura morì dieci giorni dopo in ospedale e finora l’impianto accusatorio del pubblico ministero Nadia Calcaterra ha sempre retto: il decesso fu diretta conseguenza dei proiettili che la raggiunsero.
Il nesso eziologico, messo in discussione dall’avvocato Senaldi, è sempre stato confermato (in sostanza: a uccidere il primo cittadino fu la dissecazione dell’arteria cerebellare postero inferiore, che è cosa diversa dalla rottura di un aneurisma. Quest’ultimo infatti è un difetto congenito, la dissecazione della Pica può invece essere provocata da un urto o da un colpo di frusta).
Va detto comunque che la condanna per tutti i reati contestati, compreso l’omicidio volontario aggravato, è ormai passata in giudicato: il ricorso della difesa era finalizzato solo a ottenere il riconoscimento delle circostanze generiche, che fanno da spartiacque tra il carcere a vita e una luce in fondo al tunnel.
Il 12 settembre 2017, i giudici della Suprema corte annullarono con rinvio la pena all’ergastolo inflitta con rito abbreviato dal gup di Busto Arsizio Giuseppe Limongelli (risalente al 14 aprile del 2015). Il 27 marzo del 2017 i giudici della seconda corte d’assise d’appello di Milano non accolsero le osservazioni mosse dagli ermellini in ordine all’eventualità di «parziale travisamento delle risultanze istruttorie», negando la concessione delle generiche e confermando l’ergastolo nei confronti dell’ex vigile urbano.
L’avvocato Senaldi, però, non si è arresa. E a Roma si è giocata l’ennesima partita giuridica che vede in campo il sessantasettenne ex dipendente pubblico, condannato nel 2012 per peculato. L’imputato non digerì mai quel verdetto che, oltretutto, lo portò a sei mesi di sospensione dal servizio, prorogati per un altro semestre. La prospettiva era quella dell’allontanamento definitivo dal lavoro. Mosso da frustrazione e rancore, l’uomo meditò il suo piano, vergato su un foglio che la polizia di Gallarate ritrovò in casa sua dopo l’arresto. Ma che ci fosse una premeditazione lo si apprese anche da altri manoscritti.
«Hanno festeggiato in ufficio la mia sospensione a pasticcini. E a pasticcini finirà»: scrisse Pegoraro nel dicembre del 2012, quando forse già macchinava l’agguato in Comune, l’omicidio del sindaco Laura Prati, la molotov alla Cgil e l’eliminazione di un magistrato e di una giornalista. Ma da festeggiare non c’è proprio nulla. Due vite umane devastate, una mamma sotto terra e un uomo dietro le sbarre.
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