CORONAVIRUS
«Qui il covid non è entrato»
Tamponi e decisioni: nessun contagio alla “Cardinal Colombo” di Morosolo

Le tapparelle verdi alle finestre sono tutte alzate, ma la porta d’ingresso è chiusa da settimane e lo resterà ancora a lungo. Nessuno in giardino, né sotto il gazebo a due passi dal vialetto di pietra.
La residenza “Cardinal Colombo” a Morosolo è una grande villa a due piani circondata dal verde. Settanta ospiti residenti, una sessantina di operatori, un ambulatorio, un servizio di assistenza domiciliare integrata a disposizione del territorio e nessun contagio da quando l’epidemia da Covid-19 si è trasformata in emergenza sanitaria anche in provincia di Varese.
Il virus non è entrato nelle camere di via Verdi. E non ha fermato neppure medici, infermieri, assistenti, impiegati.
Le assenze per malattia tra il personale? Fisiologiche ed entro i limiti stagionali, ma senza sintomi che possano amplificare il campanello d’allarme avvertito qui prima che altrove. E comunque, prima di essere riammessi in servizio, è obbligatorio essere stati sottoposti a un doppio tampone con doppio esito negativo.
Gli strumenti per i test di microbiologia, l’unico esame ritenuto infallibile per la diagnosi e per isolare tempestivamente chi è aggredito dalla malattia, sono sempre stati disponibili.
I vertici dell’istituto ne hanno acquistati «una buona scorta» prima che diventassero introvabili. E hanno sottoscritto a Milano una convenzione con un laboratorio del Centro diagnostico italiano: i campioni vengono inviati nel capoluogo e analizzati in tempi certi senza gravare sul sistema sanitario regionale.
«A febbraio, quando sono arrivate le notizie dei primi contagi, abbiamo capito la dimensione del pericolo a cui sarebbero state esposte le rsa e abbiamo adottato i provvedimenti necessari in anticipo sulla pubblicazione dei decreti» racconta Paolo Cerruti, direttore generale della Fondazione Colleoni di Castano Primo, ente gestore di cinque residenze socio assistenziali con sedi anche a Rescaldina, Mozzate, Asso e Morosolo.
«Ci siamo dotati di tamponi – prosegue -, abbiamo stabilito modalità di comunicazione a distanza con le famiglie degli ospiti, messo a disposizione del personale dispositivi di protezione individuale e, già dal 4 marzo, sospeso tutte le visite all’interno della struttura, se non quelle espressamente autorizzate dalla direzione sanitaria in presenza di situazioni davvero particolari».
Il tono di Paolo Cerruti non è quello di chi ha vinto una battaglia, ma di chi sta ancora combattendo.
«Il nostro compito è tutelare la salute degli ospiti - spiega -, per questo una riapertura delle sedi in tempi ravvicinati non è neppure stata presa in considerazione. È una scelta dolorosa, che le videochiamate con i parenti riescono ad alleviare solo in parte. Alle famiglie è stato offerto un servizio di supporto psicologico a distanza, identico a quello che abbiamo proposto a tutti i nostri collaboratori».
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