LA VIOLENZA
Senza velo, botte: amore da incubo
Depositate le motivazioni della condanna a un islamico. La ex moglie si convertì per lui: ha vissuto un calvario
Sopraffazione, denigrazione, violenza, anche sessuale: c’erano tutti i peggiori ingredienti nel matrimonio tra la giovane donna italiana, convertita all’islam per amore, e il pakistano condannato a fine ottobre a quattro anni e due mesi di reclusione.
La ricostruzione dei maltrattamenti subiti dalla vittima è ben dettagliata nelle motivazioni della sentenza del collegio giudicante presieduto da Renata Peragallo.
Il giudice estensore Cristina Ceffa ha ripercorso tutte le tappe salienti dell’escalation di violenza domestica.
La donna - assistita dall’avvocato Marina Colbertaldo - conobbe il futuro consorte nel 2012, attraverso un sito inglese di incontri musulmani e «venne ammaliata dalle sue buone maniere».
Ne nacque una frequentazione inizialmente virtuale. A Capodanno la vittima partì per l’Inghilterra con i figli avuti da un precedente matrimonio e raggiunse il pakistano.
Fu la consacrazione e la conferma, di un amore fino a quel momento vissuto online. Il primo dell’anno 2013 i due si sposarono a Londra, davanti a un imam. Lei abbracciò la fede di Allah, accettandone usi e costumi.
Passarono alcuni mesi e venne a galla una prima ambiguità: l’imputato le aveva nascosto un segreto di non poco conto. Era già coniugato, con una polacca. Un’unione funzionale all’ottenimento della cittadinanza di quel Paese. Una sorta di bigamia, anche se il reato non si è di fatto configurato per la legge italiana. La cassanese incassò la notizia e nel frattempo rimase incinta.
E da brava compagna musulmana indossava il velo, copriva ogni parte del proprio corpo dalla sguardo altrui, maniche lunghe, gonne che lambivano i piedi, maglie accollate. Ma venne l’estate ed era molto afosa. Difficile, con 30 gradi, resistere a strati e strati di indumenti.
Lungi dall’infilarsi gli shorts o di usare mini canottiere, la donna si limitò ad alleggerire gli indumenti. Apriti cielo. L’imputato diventò subito una furia. Fu la seconda spia che mise in allarme la vittima, ma intanto aspettava un altro figlio. Nel 2016 si sposarono civilmente, «perché lui non è tutti i giorni manesco, ci sono alti e bassi». E poi lui aveva bisogno della cittadinanza italiana. A quel punto però l’islamico fece esplodere tutta la sua possessività, manifestando una gelosia assurda nei confronti di tutta la galassia maschile: vietata la frequentazione dei cugini, del proprio fratello, di conoscenti di sorta.
Anche il datore di lavoro della moglie era un potenziale amante, nonostante i suoi sessant’anni. Quando la cassanese espresse l’intenzione di fare un regalo al suo capo il marito si adirò al punto da tirarle un piatto in faccia. Poi - si legge nelle motivazioni della sentenza che ripercorrono la cronologia del deterioramento di coppia - ci fu il grave episodio di violenza sessuale.
I rapporti ormai erano freddi, di botte e umiliazioni lei non voleva più saperne, aveva sbattuto fuori casa l’imputato ma faceva troppo freddo e lo riaccolse per pietà. Un giorno, mentre la donna si trovava in bagno intenta a svuotare la lavatrice, il marito le piombò alle spalle, la immobilizzò e la costrinse a una prestazione sessuale.
La cassanese piangeva in silenzio, affinché i figli non si potessero accorgere di nulla. A quel punto la vittima trovò la forza di rivolgersi ai carabinieri, mettendo fine all’inferno in cui era piombata affascinata e ingannata dai precetti del Corano. «L’istruttoria ha messo in evidenza un rapporto improntato a frequente litigiosità per diversità culturale, nonostante l’accostamento spontaneo e convinto della donna alla religione musulmana e per banali questioni. La condotta dell’imputato è connotata da aggressività fisica, minacciosità, offensività verbale denigrante», spiega il giudice.
E il tentativo dell’uomo di difendersi in aula non ha convinto nessuno.
© Riproduzione Riservata