MENSA DEI POVERI
«Vittima di Caianiello»
L’ex assessore Saporiti: è stato un inferno
«Ho passato sei mesi di inferno, l’ho spiegato al pubblico ministero e al gip. Non ce la facevo più, lo so, avrei dovuto lottare davanti a queste cose. Ma ero in una condizione difficilissima. Io con il sistema corruttivo non c’entro proprio niente, ed è per questo che sono uscita dalla procura senza più alcuna misura cautelare»: l’ex assessore Paola Saporiti sgombra il campo da ogni equivoco.
Difesa dall’avvocato Maria Cristina Marrapodi, l’altro giorno ai magistrati ha raccontato episodi ai limiti dell’estorsione. Dal mese di gennaio del 2018, fino a quando si recò con 500 euro al cospetto di Nino Caianiello, nel suo quartier generale all’Haus Garden, la donna subì «pressioni assillanti per versare la decima».
Era una dazione camuffata da donazione per l’associazione Agorà che gli esattori pretendevano con un ricatto subdolo: «Le dicevano che se non avesse versato la quota dovuta a Caianiello a giugno non avrebbero riconfermato l’incarico alla sorella Giovanna», spiega l’avvocato Marrapodi.
Che tiene a precisare due concetti fondamentali: innanzitutto Giovanna Saporiti non è mai stata iscritta nel registro degli indagati.
Secondo, il posto di revisore contabile di Alfa non lo ottenne per nepotismo o clientelismo. «Ha partecipato a un concorso regolare, con tutti i requisiti necessari e la documentazione che lo attesta è stata prodotta durante l’interrogatorio di garanzia e i magistrati lo hanno compreso. In Alfa è entrata per le quote rosa, perché non c’erano altre donne», dice il difensore.
Paola Saporiti, sostiene, con Nino Caianiello non ha mai avuto nulla a che fare, se non quell’infausto giorno in cui si arrese al pressing.
«Non si conoscevano neppure e non voleva avere nessun tipo di rapporto con lui, infatti le richieste non provenivano direttamente da lui. Ma a lui sono stati consegnati i soldi».
Chi era allora il gabelliere di Nino, ritenuto il “burattinaio delle tangenti”? «Lo abbiamo spiegato al pubblico ministero. Era più di una persona comunque». Non solo. alla sorella Giovanna non rivelò mai nulla sulla decima dovuta al boss di Forza Italia e del rischio che il suo posto potesse saltare. «Abbiamo ampiamente dimostrato la nostra innocenza e chiarito qualsiasi dubbio degli inquirenti».
L’attività di indagine, nata da uno spunto investigativo del pubblico ministero Luigi Furno, è ancora in pieno fermento. Interrogatori non stop fino a tarda sera, nuovi nomi da valutare, nuovi iscritti, come l’europarlamentare Lara Comi, dichiarazioni da comparare.
E intanto gli avvocati si preparano al riesame: Francesca Cramis, legale di Giuseppe Zingale, lo ha depositato e trascorrerà il weekend ad ascoltare testimoni per le indagini difensive. Tiberio Massironi, avvocato di Caianiello, ha l’immane compito di smontare l’impianto accusatorio, ma punterà soprattutto sulla competenza territoriale dell’inchiesta. L’ex assessore all’urbanistica Alessandro Petrone, difeso dall’avvocato Concetto Daniele Galati, ha già annunciato l’intenzione di farsi interrogare dalla procura, appena dopo il pronunciamento del tribunale della libertà.
Lara Comi, in mezzo alla bufera che ha devastato Forza Italia, resta il baluardo azzurro alla conquista dell’Europa: «Vado avanti con tanti amici e volontari che ringrazio, insieme vinceremo il 26 maggio». La mazzata che ieri è arrivata ad altri due esponenti del suo partito, i legnanesi Maurizio Cozzi e Chiara Lazzarini, non turba la sua serenità. «Se volete mi metto un cartello con scritto sono innocente», ha commentato. «Ho sempre girato il territorio in tutti questi anni e continuo a farlo, sempre con la gente e mi aspetto di poter vincere insieme a Forza Italia e di essere ancora nel Ppe, un partito importante per poter portare avanti le battaglie che dobbiamo affrontare in Europa. L’unione fiscale, le politiche giovanili, l’immigrazione».
E poi la tutela delle donne davanti alla piaga dello stalking e dei maltrattamenti, di cui potrebbe diventare la testimonial diretta.
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