IL RACCONTO
«Non sapevo di avere l’Iraq in casa»
L’incredibile storia di Angelo Silvestri, ex ingegnere in pensione

Tornato dall’Iraq nel 1984, ha vissuto quindici anni senza sapere che in garage, tra i ricordi della sua esperienza lavorativa a Mosul, ci fosse un prezioso reperto, testimonianza archeologica di Nimrud: l’antica città assira a sud di Ninive, sul fiume Tigri, distrutta dall’Isis.
Ora, grazie alla decisione del giudice Piera Bossi, la mattonella tornerà in Iraq ma la sopravvivenza dell’antica civiltà si deve anche all’ingegnere che la conservò inconsapevolmente. Angelo Silvestri lo ha scoperto per caso, aprendo una delle tante scatole con gli effetti personali che all’epoca gli erano state spedite dopo il suo rientro a casa: «Quando ho visto quel mattone inciso con caratteri cuneiformi accadici, ne ho compreso subito il grande valore», racconta: «Presumo mi fosse stato donato da un funzionario della sicurezza con cui avevo fatto amicizia mentre lavoravo a Mosul: non l’ho mai saputo perché ho aperto quegli scatoloni solo prima di trasferirmi a Gressoney, dove vivo adesso».
Fatto sta che l’ingegnere, all’epoca dipendente di Italstrade del gruppo Iri, si è rivolto a un suo amico professore ordinario di Archeologia e storia dell’arte del vicino Oriente Antico, Nicolò Marchetti: «Ci avevo visto giusto», esclama Silvestri. «La mattonella proveniva dalla ziggurat di Nimrud». Per l’esattezza risaliva a 2.900 anni fa, ai tempi del re di Assiria Salmanassar II. Alla gioia per la bella scoperta, tuttavia, è seguita la sorpresa di ritrovarsi indagato, per questioni procedurali, per ricettazione. Sì, perché il castellanzese ha lasciato il reperto in custodia al professore, proponendogli di esporlo nella sua università. Segnalato il possesso ai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio culturale di Bologna, l’ingegnere ha dovuto affrontare gli inquirenti: «Ricordo che mi avevano convocato i carabinieri di Bologna per farmi deporre, ma avevo chiesto e ottenuto di andare al comando di Torino», racconta.
Era agitato, preoccupato di essere suo malgrado nei guai? Silvestri risponde tranquillo: «Affatto. Ero assolutamente sereno, perché non avevo fatto nulla di male». In effetti la sua posizione è stata subito archiviata. Sono seguiti approfondimenti giuridici e culturali, fino a quando il gip Bossi, che ha trattato il caso insieme con il pubblico ministero Massimo De Filippo, ha disposto la restituzione del mattone all’Iraq, in quanto esportato in violazione della convenzione dell’Unesco.
Una storia affascinante e speciale quella raccontata nei giorni scorsi dalla Prealpina che ha lasciato un segno. E l’ingegnere Silvestri spiega: «È una vicenda davvero strana, nella quale non avrei mai pensato di trovarmi. Sono stato sommerso di ricordi di quando lavoravo alla diga di Mosul, dove avevo vissuto tre anni e mezzo conoscendo la direzione lavori dei committenti e gli alti funzionari iracheni che controllavano la sicurezza. Rimasi lì dal 1981 al 1984. Sono vividi, in me, anche i ricordi dei miei viaggi di lavoro in Iran, Kuwait, Turchia e Cina. Ho girato il mondo e ogni volta era l’occasione per visitare i siti archeologici». Una vita avventurosa.
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