SGUARDO AL FUTURO
“Città in un quarto d’ora”. Lombardia come Parigi?
Confronto a Milano su smart working ed ecosistemi urbani. «Equilibrio tra lavoro e tempo libero. Sì alla flessibilità». Intervento della vice sindaca della Città Metropolitana

“La città in un quarto d’ora” o detto alla francese “La ville du quart d’heure” visto che la realtà di riferimento è Parigi. In quei 15 minuti, c’è un mondo di benessere, personale e lavorativo. Il presupposto è che l’80% delle relazioni e delle interazioni possa appunto avvenire nello spazio temporale del quarto d’ora. E dunque, per dirla in modo semplice: lavoro non distante e vita privata che si svolge in prossimità. Di questo, e non solo, si è parlato questa mattina, giovedì 9 marzo, all’incontro dal titolo “Ecosistemi lavoratovi ed ecosistemi urbani; riprogettare tempi, modalità e spazi nella città del quarto d’ora”, promosso da Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale) Lombardia, nella sede di Copernico, a Milano.
I temi trattati: lo smart working e il lavoro ibrido (parente stretto del primo), gli spazi urbani da riprogettare e l’universo della pubblica amministrazione, cambiato e non poco rispetto allo stereotipo del “posto fisso”.
L’ALTALENA DELLO SMART WORKING
I dati dicono che lo smart working - entrato nel “dizionario normativo” italiano del 2008 e debuttante in concreto nel 2014 con le prime aziende pionieristiche del remoto - ha avuto, come immaginabile, il boom nel 2020 con la pandemia (9 milioni di lavoratori in sw) per poi andare in graduale decrescita (7 milioni l’anno successivo e 4,5 milioni nel 2022). Ne ha parlato, nel primo intervento della giornata, Teresina Torre, docente universitaria di Unige - IucNow Lab, evidenziando i pregi ma anche le difficoltà nell’organizzazione del lavoro da remoto. Un concetto a fare da sfondo: la dimensione psico-emotiva del personale. Da queste dipendono anche i risultati dell’azienda.
LE VERITÀ DAL QUESTIONARIO
Barbara Imperatori e Roberta Cuel, docenti Assioa, inter-university collaborative lab, hanno quindi illustrato i risultati di un doppio questionario che ha coinvolto piccole, medie e grandi imprese, prevalentemente del settore dei servizi. Ebbene, emerge come una su tre avesse già sperimentato, magari in via embrionale, una qualsiasi forma di smart working prima della pandemia; con l’emergenza sanitaria, la percentuale è giocoforza raddoppiata. E oggi, un’azienda su due ha stipulato un accordo aziendale sul lavoro da remoto. La precisazione: quando si parla di smart working si fa riferimento a una galassia di modelli, da quelli fully virtual alle versioni più blande.
«In tutti i settori il lavoro è tendenzialmente più remotizzabile» hanno osservato le due relatrici, sottolineando che i benefici, per i lavoratori, si misurano in maggiore soddisfazione e migliore bilanciamento tra vita e lavoro.
LE CRITICITÀ
Ma non sono tutte rose e fiori. Il lavoro agile presenta alcuni freni e criticità: la resistenza da parte dei capi; la difficoltà nell’inserimento, con impiego da remoto, di nuovi lavoratori; la complessità del coordinamento (soprattutto nell’ibrid working, con alcuni da remoto e altri colleghi presenza). Ma stando a quanto emerso questa mattina e soprattutto alla luce delle indagini condotte nei settori più aderenti allo smart working, i vantaggi superano di gran lunga le controindicazioni. E fanno bene anche alle aziende, dal lato finanziario, delle spese.
PICCOLE CITTÀ CRESCONO
Decentrare, avere più sedi al posto di vecchi complessi centrali (oggi peraltro dai costi energetici esorbitanti) e puntare anche sul coworking, migliorano la sostenibilità - stella polare delle politiche del futuro - e fanno crescere le piccole città. Ma c’è di più: i valori, come affiora dalle indagini condotte sui giovani, sono requisiti imprescindibili nel scegliere un’occupazione e un’azienda. «Un terzo dei giovani lavoratori è disposto ad andarsene da un’azienda che non ha valori corrispondenti ai propri».
«NEL GIRO DI CINQUE ANNI... »
Il futuro è all’insegna del lavoro agile. Nel giro di 5 anni si valuta che la maggior parte delle aziende avrà un modello definito e consolidato quantomeno di lavoro ibrido. A indicare la rotta è stato Mauro Mordini, country manager di Iwg. Ma c’è anche un modello di successo, a tutto tondo, che riguarda uno spazio territoriale “rigenerato” secondo criteri innovativi: è il distretto dell’innovazione Mind, a Milano, che è stato pensato per dare servizi, benessere e sostenibilità ambientale, anche fuori dal luogo di lavoro: non a caso ci sono un ospedale d’eccellenza, darsene navigabili, spazi verdi. Un luogo dove i “cervelli” si trovano nelle migliori condizioni anche di vita privata. «E dove idee innovative, come la piccola scatola che distrugge i virus, Covid compreso, presenti in un ambiente, possono nascere da dialoghi fuori dagli uffici, incontrandosi al bar di sotto» ha spiegato il manager Igor De Biasio .
PAROLA D’ORDINE: FLESSIBILITÀ
L’affresco della “città in un quarto d’ora” è stato presentato da Claudio Alessandrini, vice presidente di Aidp Lombardia. «Il post pandemia ha modificato alcuni concetti radicati nel lavoro in Italia, come quello dell’orario rigido, tutti cominciano alle 8.30 e finiscono alle 17.30, andando poi tutti ad affollare alla stessa ora supermercati o spazi di ritrovo. Ora si guarda alla flessibilità che offre vantaggi sia sul lavoro, sia nel tempo libero». Alessandrini ha quindi rivelato che il bilanciamento tra lavoro e qualità della vita è adesso più attrattivo, per il lavoratore, dell’aspetto contributivo. Il miglior benefit sta qui.
«ANCHE NEL PUBBLICO»
Anche la pubblica amministrazione ha cominciato a ragionare in termini di smart working ed equilibrio tra lavoro e tempo libero. Al Comune di Milano, ad esempio, il venerdì è giorno da remoto per mille dipendenti. Michela Palestra, sindaca di Arese e vice sindaca della Città Metropolitana di Milano: «Gli enti pubblici che prima della pandemia si stavano già muovendo verso modelli di lavoro agile, si sono poi organizzati prima e meglio, gli altri hanno vissuto invece nel disorientamento». Una spinta insomma a guardare a modelli innovativi nell’organizzazione del lavoro. Anche perché il settore pubblico ha perso l’appeal del passato, del posto fisso: «Nelle generazioni giovani è più importante la strutturazione del lavoro che la remunerazione. Facciamo fatica a trovare giovani figure tecniche. E dire che nel pubblico ora le sfide non mancano: il Pnrr, tanto per citarne una».
Adele Nardulli, amministratrice di Landoor e presidente nazionale di Federlingue, ha spiegato, a margine del convegno, l’importanza dell’ufficio diffuso, soprattutto nel suo settore.
Morale: non c’è una ricetta vincente valida per tutti; esistono spunti, innovazioni e modelli da esplorare, adattandoli al meglio al proprio ambiente e alla propria organizzazione del lavoro. Di certo, il lavoro agile e l’equilibrio tra lavoro e tempo libero sono ormai imprescindibili. Anche perché ne guadagnano anche le aziende.
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